Che fine ha fatto il cibo?
Il fallimento definitivo di Expo 2015
di Alessandro Redivo
EXPO, quattro lettere, come CIBO. Del primo si parla ancora e molto, nelle aule dei tribunali, fra gli scranni dei politici locali e nazionali, nei giornali, spesso affiancati a termini quali avviso di garanzia o corruzione. Expo Milano come modello di successo da copiare e replicare all’infinito: ExpoArte, ExpoAperitivo, ExpoMostra, ExpoVattelappesca. Del secondo invece è rimasta solo la declinazione in chiave di profitto, subito. Nell’ultimo trimestre a Milano è esplosa la food delivery on line mania: Foodora, Deliveroo, Just Eat, Glovo. Multinazionali della consegna a domicilio pronte a cavalcare l’onda dell’evento internazionale, sfruttando un esercito di ragazzi precari costretti a pedalare (nel vero senso della parola!) per meno di tre euro a consegna.
E pensare che nel semestre di Expo Milano 2015, la parola cibo è stata spesso accompagnata da un’aurea di salvifico ottimismo: diffondere un’alimentazione sana, buona, sufficiente e sostenibile, riflettere sulla storia dell’uomo e sull’annoso paradigma fra consumo e produzione. In concreto, quali contributi ai temi dello sviluppo del pianeta sono stati condivisi universalmente?
Iniziamo dal testamento morale di Expo: la Carta di Milano. Il documento che a detta degli organizzatori avrebbe dovuto fungere da guida, una sorta di trattato di Kyoto dell’alimentazione, si rivela insufficiente. Dieci pagine romanticamente superficiali, colme di diplomatiche promesse e generici impegni. Nessuna traccia di un obiettivo tangibile. Non vi è alcun atto concreto legato a una scadenza temporale, nessuna responsabilità conferita. Il gesto quotidiano di praticare la raccolta differenziata o il segno che il contadino lascia sulla terra arata, valgono, da soli, molto di più del tempo e dell’energia spesa per redigerlo.
Un altro progetto partorito da Expo è stato Feeding Knowledge. La piattaforma web nata con l’intento di raccogliere, condividere e sostenere le migliori pratiche in ambito di sostenibilità, agricoltura e sviluppo rurale. Oltre ad aver premiato e supportato le migliori 18 Best Practices, c’è ben poco: database non aggiornati, link non validi o che rimandano a siti sbagliati. Le ultime ricerche condivise o pubblicate risalgono al 2015, nessun evento all’orizzonte, un contenitore “planetario” vuoto.
Il contributo dell’ONU e delle sue agenzie a EXPO Milano 2015 di certo non spicca per concretezza e innovazione. È sufficiente passare in rassegna i principali avvenimenti per rendersene conto: Giornata Mondiale dell’Alimentazione, 16 ottobre. Giornata Mondiale dell’Ambiente, 5 giugno. Giornata Mondiale Umanitaria, 19 agosto. Fra i “traguardi” raggiunti si annovera inoltre “get to Zero”, l’insostituibile App-gioco che ha guidato il visitatore in un percorso interattivo all’interno del sito espositivo. Fra presentazioni, eventi, celebrazioni autoreferenziali e parate di autorità, la sensazione che concetti come Fame Zero e Agenda 2030 rimangano distanti, è il caso di dirlo, dal sopravvivere quotidiano.
Un interessante passo in avanti è rappresentato dalla legge recentemente approvata per la Tutela del reddito di contadini, allevatori e pescatori. Ci sono senz’altro buone notizie per gli agricoltori, vengono aboliti IMU, IRAP e concessi incentivi per l’innovazione tecnologica. Ma il governo ha esteso il concetto di reddito agrario alla produzione e cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In pratica: riempire cascine e campi coltivabili di pannelli fotovoltaici sarà equiparato alla semina e alla raccolta. Invece di dare dignità e valore al gesto antico, si è preferito investire in scorciatoie contemporanee.
L’elenco potrebbe continuare, citando progetti, conferenze, congressi, Parigi, Rio, Fame Zero, obiettivi del Millennio e tanti altri slogan farsa. L’unica certezza è la colpevole assenza del reale protagonista: l’UOMO. Quattro lettere, come CIBO.