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Società e Diritti

Bora scura

Bora scura 

Questa bufera elettorale si tinge di soli due colori: grigio e nero. E non sono i colori della felicità. Il grigio appartiene a chi fa del “vaffa” il suo motto civile. Il nero è quello dei razzismi, fascismi e leghismi. Grigio e nero  ammorbano oggi l’aria di un paese intero.  E rischiamo di spazzare via ogni sogno e progetto di una  felicità condivisa. Ma al quel progetto e sogno non possiamo e non dobbiamo rinunciare. Ora più che mai.

di Simonetta Lorigliola

Siamo in campagna elettorale. Cammino nel centro di Trieste, con mio figlio per mano. È una giornata di bora scura, quelle in cui i piedi toccano appena terra e si vola veloci verso la propria destinazione, al calduccio. La testa piegata in avanti per evitare le sferzate ventose, non mi accorgo di un presidio, un volantinaggio in vista delle prossime lezioni politiche del 4 marzo.

Stando a testa bassa vedo comparirmi un volantino sotto il naso, lo afferro senza farci attenzione, ma proprio in quel momento la persona che me lo porge, parla. Alzo la testa e mi trovo davanti un giovane sui 30 anni, sovrappeso, che mi guarda sorridendo: “Lei che è una mamma, prenda il volantino. E ci voti perché noi difendiamo questo nostro paese!”. Il vento mi fischia nelle orecchie. O forse non è il vento, è la rabbia. Non riesco a rispondere. Di getto straccio il volantino davanti ai suoi occhi e tirando la mano di mio figlio abbandono la piazza. Il tizio mi dice ancora qualcosa, ma le raffiche e il traffico coprono la sua voce. I pensieri turbinano. Non è una novità incontrare un militante di Forza nuova per le strade di questa città, lo so bene.

Ma perché una donna e una mamma dovrebbe essere interessata a “difendere questo paese”? Quale paese? Quello che vede gonfiarsi come panna montata l’incultura dell’odio, della prevaricazione, della guerra tra poveri, della paura? Il paese dei ragazzi di provincia che si mettono a sparare per strada agli africani? O quello di coloro che “difendono” tutto questo e anzi lo favoreggiano al solo scopo di acquisire visibilità e occupare luoghi di potere e di governo?

Questo non è il mio paese. E non è il paese in cui voglio che mio figlio cresca, studi, faccia comunità. Perché questo paese “da difendere” è la negazione di ogni comunità.

“A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un’infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il lager”.

Queste parole crude e vere scriveva Primo Levi nella prefazione a “Se questo è un uomo” (1958, Einaudi).

Sembrano scritte oggi, o forse domani.

Quel domani dobbiamo e possiamo scongiurarlo.

Contro l’aria mortifera che i becchini della comunità felice spargono ovunque come benzina putrefatta, in attesa di dar fuoco all’ultimo briciolo di umanità, i nostri cuori e le nostre menti devono aprirsi e liberare energie positive, progettuali, comunitarie e comuni.

Il futuro felice comincia adesso.

Oltre la marea grigia del qualunquismo e quella nera dei fascismi e dei razzismi.

Quel futuro felice deve essere presente. Si comincia a costruirlo dalla nostra quotidianità.  parlando con chi ti sta vicino. Praticando la condivisione. Commentando ogni atto o parola che ci pare incivile. Cercando e costruendo spazi di condivisone e apertura. Facendo sentire la voce di chi al sogno ancora crede. E vuole che diventi concreto.

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