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Dall’archivio di Konrad: ACQUE E NEVI: RISORSE PERENNI?

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L’ONU dedica il 2013 e la giornata del 22 marzo in particolare alla cooperazione internazionale sul acqua, come base per uno sviluppo veramente sostenible. L’obiettivo è quindi evidenziare ai governi e a noi tutti quello che bisogna ancora fare per garantire l’accesso all’acqua potabile e anche in condizioni igienico-sanitarie adeguate.

Traguardi difficili da raggiungere, tenuto conto dei cambiamenti clima-tíci in atto e dei confitti che sorgono a tutte le lattudini per accaparrarsi questa risorsa.

Un aspetto che ci accomuna tuti è quello del rapporto acqua/salute. Si fa presto a dire salute: infatti FO.M.S. la definisce non come assenza di malatia ma come completo benessere, condizionato da prerequisió e tra questi c’è anche “sorella acqua”. Anche nella nostra Regione e nello stesso mondo alpino, pur potenzialmente ricchi di questo bene, non mancano criticità. È finita l’epoca dell’abbondanza e della qualità garantita. In passato era utilizzata come forza motrice per muovere pale di mulini e macine ed per trasportare a valle tronchi, grazie a dighe temporanee, realizzate in forre ed aperte al momento opportuno.

In inverno, in alto, dalla neve il settore montano ha ricavato una forma di sostentamento con lo sci. Purtroppo, come rimarcato anche dale recenti polemiche, nemmeno la neve naturale basta più a riempire la voragine ho di un’economia “vecchio stampo”, in crisi da tempo. Specialmente per mancanza d’identità innovative di sviluppo e per inverni sempre meno nevosi. Eppure la frequentazione della montagna inverale è in aumento. Per fronteggiare i cambiamenti climatici si sono attivati sistemi d’innevamento artificiale che sottraggono elevate quantità d’acqua di ottima qualità e la rilasciano ricca di additivi chimici e, come se non bastasse, per garantire il funzionamento del sistema, sono necessari serbatci d’accumulo e l’utlizzo di elevate quantità di energia.

Vengono ora al pettine, nodi e limiti della gestione territoriale ed economica del Il dopoguerra: in Italia e Francia, lo sci e l’agricoltura intensiva ha cancellato quella montana, mentre nel settore nord delle Alpi, turismo ed economia rurale convivono e garantiscono una conservazione di un mondo quasi da cartolina e produzioni di qualità. Da noi inoltre l’emigrazione ha spopolato le aree a mezza quota, ora travolte anche dal dissesto idrogeologico. Recentemente si leggono timidi segni d’inversione di questa tendenza. Sarà anche perché, in momenti di crisi, l’agricoltura è forse un settore che resiste meglio di altri; se poi è anche biologica ancor meglio.

In pianura, l’acqua è indice di ulteriori connessioni con le zone di alimentazione e ricarica del sistema idrico: i pozzi che alimentano gli acquedotti raggiungono falde molto profonde ed antiche, eredità di tempi passati. Questa ricchezza è però messa a rischio sia dagli interventi a monte, di cui ancora non leggiamo le conseguenze, sia da incidenti locali: ad esempio inquinamenti dovuti all’utilizzo in agricoltura di sostanze fertilizzanti, anche vietate, come i caso dell’atrazina, qualche anno fa.

Da non sottovalutare, infine gli effetti irreversibli di prelievi eccessivi da sedimenti alluvionali che, privati di acqua e di altre sostanze, si sono comportati come una spugna: pressata, sputa fuori l’acqua contenuta, e diminuisce di spessore.

Si innesca cosi la subsidenza artificiale, l’abbassamento della quota assoluta del terreno, che ha amplificato il fenomeno dell’acqua alta che i veneziani conoscono molto bene e che ha comportato faraonici interventi per mitigarne gli effetti. Con tuti i limiti di intervent a posteriori, criticati ed ancora non conclusi.

Il filo azzurro che collega le montagne alla pianura è fragie per natura ma soggetto anche a pressioni antropiche e spesso non ne conosciamo ancora tutti i risvolti.

Riccardo Ravalli

Tratto da Konrad n. 184 di Marzo 2013

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