Da piccolo, pensava di fare proprio il terapista?
Non avevo la più pallida idea di cosa fare da grande.
E com’è andata?
A diciotto anni sono andato a vivere in Inghilterra. Per una decina di anni ho fatto l’insegnante di arti marziali e più tardi il massaggiatore sportivo. All’inizio per caso, perché mio figlio faceva il ciclista, poi professionalmente con campioni come Francesco Moser e Greg Lemond, primo americano a vincere il Tour de France. E in quell’ambiente ho scoperto l’osteopatia. Allora sono andato a studiarla e poi mi sono laureato. Nel frattempo mi sono specializzato in terapia cranio-sacrale, in America, come allievo del dotton Upledger, poi sono diventato insegnante internazionale di questa metodica.
Una pet-teraphy cos’ ha di diverso dalle altre terapie?
Non cura le disfunzioni bio-meccaniche e i terapisti sono due, l’uomo e l’animale. Di solito è quello domestico, un cane, gatto o cavallo, un animale che ci rilassa e ci fa da complemento. Perché gli animali hanno una specie di energia pura, non viziata dalla mente, e dunque riescono a entrare in profonda simbiosi con le persone. Ogni terapia dovrebbe aiutarci a ritrovare il nostro benessere: non bastano gli arnesi giusti della scienza. Così, la pet-teraphy va proposta soprattutto nell’ambito dei bambini con patologie autistiche,
E la terapia con i delfini? Cos’ha di speciale?
Da decenni, il delfino stimola investigazioni scientifiche molto sofisticate: è un alto mammifero. Lo ha mai visto e sentito dal vivo?
Solo in video.
Peccato, perché è una creatura davvero affascinante. Ha due suoni: scannerizzazione e sonarizzazione. Quando ha di fronte un corpo umano realizzano quasi una specie di tac. E i delfini, pur senza intervenite direttamente, si mettono quasi a disposizione delle persone, spingendole a modificarsi. Agiscono sul sintomo: forse aiutandole a vedere diversamente la malattia. E ciò mette in atto un processo di guarigione. Capisce quello che voglio dire?
Ma non spaventa, ritrovarsi in acqua alta, con un animale che pesa centinaia di chili?
Stranamente, no. Il delfino ha un’energia sottile, che entra in risonanza con la nostra. Come accade con il cane o il gatto. Solo che il delfino è enorme, non è tuo ed e in acqua alta. Ma non la paura. No. Stranamente no. Eppure sai benissimo che a cento metri dalla riva, nelle Hawaii, 500 delfini che nuotano velocissimi verso di noi in acque profondissime potrebbero accopparci in tre secondi. Ma non ho mai visto nessuno spaventarsi. È strano ma è così. D’altra parte, con i delfini è tutto strano.
Mi racconta un episodio?
Ero alle Hawaii, con la collega Trish Reagan, alla Captain Cook’s Bay. Lei in acqua danzava… non ho una parola più adatta… con un delfino. Di colpo comparve un grosso branco di delfini, velocissimi, verso di noi. Virarono a mezzo metro. Potevano travolgerci. Ma non provammo paura: le vibrazioni erano magnifiche.
La terapia dove la fate? E come?
Alle Bahamas, una piscina aperta sotto. Con i delfini che arrivano si condivide lo spazio, il suono: è un’esperienza potentissima e ognuno la vive e la rielabora a modo suo. Anche a distanza di mesi e mesi.
Ci sono prospettive a Trieste?
Solo per i triestini che potranno fare questo viaggio alle Bahamas. Altri posti in Italia… sono perplesso: non hanno la stessa apertura né presenza reale. E gli stessi delfinari… bisogna andare dove i delfini vivono per davvero. Cossa… me butto in acqua in Sacheta? Col delfin?!
Il suo successo più bello come terapeuta?
Ogni volta che qualcuno sta meglio.
Ma il più più più?
Sì, è vero: era una risposta molto anglo sassone. E allora cerco di spiegarmi meglio: sento di avere un successo ogni mattina che mi alzo e posso assistere qualcuno, bambini, adulti e vecchi. Perché, vede, ai bambini immigrati tutti dicono “ma che bel” ma poi da grandi gli dicono “extracomunitario!”. Lo stesso accade con i malati: ai bambini si prestano mille attenzioni, ma i vecchi si trascurano. E allora, per me, è una grande gioia vedere accendersi un barlume di luce in un novantenne che ha fatto una seduta di terapia. Oppure anche qualcuno che mi dice “cio, la sarà anche un insegnante interazionale ma xe sei volte che vegno qua e gò sempre mal de schena”. Capisce quello che voglio dire? E che bisogna esser sempre aperti agli stimoli, domandarsi “dov’è che io e cose che faccio aiutano altri ma questa persona, invece, no?”
Le piace insegnare?
Insegno in tutto il mondo e la risposta e “sì, mi piace”. E mi viene facile. E se ti viene facile vuol dire che è una cosa tua. Nel ’95 ho introdotto la terapia cranio-sacrale in Italia, da allora ho avuto 4000 allievi. La gioia è offrire l’opportunità di provare lo stesso effetto che ho io quando applico questa tecnica: “posso farlo! Posso offrirlo a chi ha bisogno”.
Le tecniche di base sono semplicissime. Poi si sta una vita per svilupparle.
Luciano Comida
Tratto da Konrad n.153 di febbario del 2010