– di Simonetta Marenzi –
Crescono, in Italia ma non solo, le antipatie per l’Euro nonché la tentazione a tornare alle monete nazionali. Esponenti politici di destra e di sinistra , di mezza Europa, solidarizzano nell’additare un comune “colpevole” per la crisi economica e finanziaria che coinvolge un po’ tutti, ma in particolare i paesi con un forte debito, come l’Italia appunto, ma anche la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna, tanto per citare i primi della classifica risultanti da un rapporto Eurostat del 2013, sulla base del rapporto debito/Pil. Cosa significa rapporto debito/Pil? Vuol dire la capacità di far fronte ai debiti contratti per la gestione del paese attraverso le proprie capacità di produrre ricchezza con cui ripagare il debito. Tanto per restare con i piedi per terra pensiamo ad una famiglia composta da 4 persone che contrae un mutuo ipotecario e prestiti a breve – ad esempio per rinnovare il mobilio o acquistare elettrodomestici quali smartphone, televisori etc – con un impegno mensile di circa 800,00 euro ma abbia entrate per 1300,00 euro. Con i 500,00 € mensili che restano a disposizione è difficile riuscire a vivere. Cosa accade quindi? Si dà la priorità alle spese correnti necessarie a sopravvivere e la famiglia diventa insolvente nei confronti della banca. Cala quindi la fiducia della banca nei confronti della famiglia che non otterrà più in seguito altri prestiti, e sarà forse costretta a svendere la sua casa per onorare il mutuo. Al paese Italia è accaduta la stessa cosa. Ha contratto debiti troppo alti rispetto alla sua capacità di produrre ricchezza ed uscire dall’euro non andrebbe ad incidere su questo stato delle cose, determinato da incapacità gestionale di bilancio da parte di tante, troppe amministrazioni pubbliche, supportate proprio dalla vecchia sovranità monetaria che raffazzonava le cattive gestioni immettendo altra moneta nel circuito ed alimentando un circolo vizioso che andava fermato prima. Quella famiglia dovrebbe per prima cosa rivedere le proprie priorità di spesa, ove possibile, imparando a distinguere i bisogni reali da quelli indotti, e dovrebbe inoltre fare in modo di conseguire, attraverso il proprio lavoro maggiori ricchezze con cui gestire il debito. Il denaro in portafoglio è frutto del lavoro svolto e del riconoscimento che esso ottiene a livello contrattuale sul mercato del lavoro al netto delle imposte che gravano sul suo reddito, di quelle che deve pagare quando consuma quel reddito attraverso le imposte indirette (IVA), dell’impegno lavorativo che la burocrazia sottrae etc. etc. Certo si può “influire” sul potere d’acquisto delle famiglie influenzando il valore della moneta con politiche monetarie ma sarebbe un po’ come voler curare la febbre semplicemente facendo scendere il mercurio, o l’alcol, dall’asticella del termometro.
Quello che l’Europa ci sta chiedendo è di rivedere un sistema gestionale pubblico che risulta inadeguato ed inefficiente, ossia le benedette riforme strutturali. Alcuni esponenti politici, adeguandosi ai sondaggi di impopolarità dell’Euro non fanno altro che cercare consensi cavalcando l’onda del disagio popolare che in realtà poco ha a che fare con quale sia la moneta in uso ma ha tutto a che fare la possibilità di produrre ricchezza attraverso il proprio lavoro. Ritornare alla lira non ci restituirà la sospirata sovranità persa proprio a causa del debito pubblico, che ci ha costretti a svendere, pezzo per pezzo il nostro patrimonio al miglior offerente, cinese, arabo, americano, indiano -tanto per citare alcuni dei paesi che hanno fatto il loro ingresso in Italia attraverso il capitale di imprese pubbliche e private – per ripagare parte dei nostri debiti causati da gestioni poco attente. Non facciamoci ingannare ancora una volta dall’incapacità di distinguere le cause dagli effetti e proviamo ad assumerci la nostra corresponsabilità nello stato generale dei fatti.
Solo riconoscendo onesta-mente i propri errori troveremo le soluzioni più adatte per ridare vigore allo sviluppo del nostro paese.