– di Fabiana Salvador –

Leggere i nomi dei luoghi, delle piazze, delle vie, equivale a leggerne la storia. I nomi contribuiscono a creare la cultura storica, perché definiscono le figure degne di essere ricordate. Ma di quale storia stiamo parlando?
Un tempo le intitolazioni erano dedicate ai santi, ai mestieri e alle professioni esercitate sulle strade, alle caratteristiche fisiche del luogo. Poi si comprese l’enorme importanza che potevano avere nell’esercizio del potere. La necessità di affermare ideali nazionali determinò negli spazi pubblici un profluvio di protagonisti del Risorgimento e della Patria; con l’avvento della Repubblica furono, non ovunque, valorizzati gli eroi della Resistenza. La scelta di far emergere precisi nomi di letterati, artisti o poeti spesso era vincolata all’ideologia di una parte politica al potere.
A Trieste, vista la complessità della storia cittadina, l’argomento assume un interesse particolare. In un contesto multietnico e di confine, in cui l’appartenenza allo stesso territorio è ascrivibile a più culture, l’imposizione e la strumentalizzazione sono state più marcate. A Trieste i terroristi possono diventare martiri o i traditori diventare eroi. E meglio sorvolare sui responsabili della liberazione dal nazifascismo perché potrebbero nuocere al concetto intoccabile di italianità. Si nomina solo ciò che deve essere legittimato.
Ma Trieste, con le altre città italiane, condivide un’impostazione di fondo: un immaginario collettivo di figure illustri quasi esclusivamente maschili. Una percentuale molto bassa di vie sono state dedicate a figure femminili. Una palese discriminazione.

Fino al 2012 solo 35 vie erano intitolate a donne contro le 729 intitolate agli uomini. Di queste 18 sono madonne, sante o figure religiose, legate alla presenza di santuari, edifici di culto o immagini devozionali. Fra i toponimi tre ci ricordano donne delle quali sappiamo pochissimo (Geppa, Fabbra, Piranella), la quarta è Margherita, madre di un diplomatico dell’Ottocento; tre sono benefattrici (Sara Davis, Cecilia de Rittmeyer, Kathleen Casali); due matrone romane (Cornelia Romana e Livia) e due poetesse del Cinquecento (Gaspara Stampa e Vittoria Colonna) senza legami apparenti con Trieste; vi sono poi Carlotta, moglie di Massimiliano d’Asburgo ed Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, che risiedette per un periodo in città. Della storia recente due sono partigiane (Rita Rosani e Laura Petracco), una è una vittima delle foibe (Norma Cossetto) e una appartiene alla casa Savoia, Mafalda, ma anche in questo caso sfugge il legame con la città.
Negli ultimi due anni, sull’onda dell’attività promossa dall’Associazione Toponomastica Femminile, sette nuove intitolazioni sono state dedicate a donne che si sono distinte nel campo dell’arte, dello sport e dell’impegno politico. Si tratta perlopiù di giardini. A molti forse è sfuggito questo atto importante per la trasmissione di modelli femminili alle nuove generazioni. Nominiamole tutte: Ave Ninchi, Marisa Madieri, Fedora Barbieri, Wanda e Marion Wulz, Chiara Longo, Leonor Fini e Ondina Peteani.

Di recente è stata allestita una mostra fotografica, molto bella, organizzata dalla Commissione Pari Opportunità del Comune di Trieste e realizzata grazie alla preziosa collaborazione di Fotografaredonna. Una ricerca storica restituisce, quando possibile, la biografia delle donne a cui la via è stata intitolata e l’anno dell’intitolazione. 42 immagini, libere interpretazioni delle targhe, offrono un attento e sensibile sguardo artistico femminile che cattura lo spettatore. Sono opere di Marisa Ulcigrai, Elena Degano, Nadia Sirca, Irene Porto, Erica Costantini, Giuliana Tonut e Toponomastica femminile.
La mostra è itinerante: inaugurata a Villa Prinz il 5 marzo, farà il giro di tutte le Circoscrizioni: ad aprile sarà a Prosecco, a maggio a Opicina e da settembre di nuovo in città. Proponendo nuovi spunti di riflessione sulla necessità di riscoprire e valorizzare il contributo offerto dalle donne alla costruzione della società.
Un dettaglio sul quale non si vuole sorvolare: in occasione dell’inaugurazione, la vicesindaco Fabiana Martini si è impegnata ufficialmente affinché la prossima intitolazione sia dedicata a una donna slovena. Se verrà scelta con uno studio della toponomastica antecedente l’Italia o fra le donne slovene triestine della contemporaneità, poco importa. Di certo sarà importante. E forse farà polemica. Ma fra le memorie sospese, quelle non rispettate e quelle volutamente dimenticate, ci sono le memorie di donne che è giusto vengano legittimate. Sulle vie della parità.