– di Lino Santoro –
TTIP non è un nipote di Topolino, ma un pesante attacco del neoliberismo alla democrazia.
La storia del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) è lunga. Inizia nel 1995 quando Henry Kissinger affermò che le condizioni sono propizie per la creazione di una North Atlantic Free Trade Area in grado di sostenere globalmente il principio del libero scambio fra Stati Uniti ed Europa. Nel 1998 USA e UE firmavano a Londra l’accordo per l’avvio della Transatlantic Economic Partnership (TEC) per armonizzare standard, regole e procedure verso una Trans-Atlantic Free Trade Area (TAFTA) nell’ambito della liberalizzazione del commercio mondiale come voluto dal World Trade Organization (Organizzazione mondiale del commercio ovvero WTO). Nel 2011 USA e UE decisero di riesumare il TEC al fine di stimolare la competitività dei Paesi nord-atlantici sui mercati internazionali. Il rapporto finale del TEC, pubblicato nel febbraio del 2013 era indirizzato a sostenere che un accordo globale che copra tutti i settori dell’economia sarebbe estremamente positivo. Tanto che nel luglio del 2013 ebbero inizio le trattative diplomatiche fra USA e UE per dar avvio al TTIP. La Commissione Europea avviò una serie di 100 incontri a porte chiuse con singole compagnie e lobbisti aziendali.
Le associazioni imprenditoriali di qua e di là dell’Atlantico premevano da tempo per un accordo per il commercio e gli investimenti che favorisse il grande capitale, mercantile e finanziario. Già nel 1995 venne istituito il Trans-Atlantic Business Dialogue fra gli amministratori delegati delle più potenti società di USA e UE al fine di far pressione a favore di una zona di libero scambio basata sulla deregolamentazione dei mercati, sia europei sia statunitensi.
Gli incontri del 2013 e quelli successivi del 2014 furono secretati ma i contenuti uscirono dalle chiuse stanze e cominciò la pressione di associazioni come Attac etc. per la libertà d’informazione.
Cosa rischiamo con il TTIP
Per capirci il TTIP non è stato concepito tanto per la riduzione delle tariffe sulle importazioni fra le due sponde atlantiche, che sono già sufficientemente basse, ma per abbattere le barriere normative che attualmente fissano dei limiti ai profitti realizzabili da società transnazionali, con l’eliminazione o la riduzione di standard sociali fondamentali e di normative ambientali, sanitarie e del lavoro.
Il percorso delle trattative continua a essere secretato dalla Commissione Europea. Ma i contenuti sviluppati dai gruppi di lavoro sono in realtà noti, grazie alla benefica fuga di notizie, anzi alla pubblicazione di interi documenti secretati, su alcuni siti di associazioni anti TTIP negli USA.
Obiettivi principali del TTIP sono l’apertura di nuovi mercati nel settore dei servizi pubblici, con l’intento di privatizzare settori chiave come la sanità e l’istruzione. Ma gli aspetti invero estremamente preoccupanti sono l’intenzione di conferire agli investitori stranieri il diritto di citare in giudizio i Governi sovrani davanti a tribunali arbitrali creati ad hoc per l’eventuale perdita di profitti conseguente a decisioni politiche finalizzate alla pubblica utilità. Questo strumento denominato ISDS (Investors-State Dispute Settlement: Risoluzione delle controversie fra stato e investitori) eleva il capitale transnazionale a uno stato giuridico equivalente a quello di uno Stato-nazione. Si tratta quindi di un attacco a tutto campo alle normative statali e alla legislazione primaria (regolamenti e direttive) europea ma anche alle norme e ai regolamenti federali e a quelli dei singoli Stati degli USA sotto la pressione delle multinazionali del capitale e della finanza (che ormai sono la stessa cosa). Sono sotto minaccia le normative su salute con l’introduzione di farmaci non sufficientemente testati per accontentare le multinazionali del farmaco, su sicurezza alimentare con l’apertura dei mercati europei a ingredienti geneticamente modificati nei prodotti alimentari e nei mangimi animali, a ridurre le restrizioni per l’uso di pesticidi attualmente vietati negli Stati dell’UE, all’uso di carni trattate con ormoni, all’impiego nell’industria di sostanze chimiche che attualmente il regolamento europeo di gestione delle sostanze chimiche REACH impedisce di utilizzare se non dopo un severo controllo sugli effetti sanitari ed ambientali. Se in base al TTIP fosse modificata la direttiva europea sulla qualità dei carburanti dagli USA arriverebbe in Europa il petrolio estratto dalle sabbie bituminose (tar sands) del Canada, e le multinazionali energetiche avrebbero spazio per estendere in Europa l’estrazione dello shale gas con la fratturazione idraulica (fracking). La battaglia per la difesa dei beni comuni troverebbe avversari con ingenti capitali pronti a impossessarsi dei sistemi sanitari, dell’istruzione, della ricerca, dei servizi idrici, imponendo le loro tariffe e trascinando nei tribunali arbitrali gli enti pubblici o gli Stati che si opponessero alle loro mire, tribunali facilmente orientabili grazie alle imponenti risorse messe in campo dalle multinazionali. Il capitolo del TTIP relativo ai diritti di proprietà intellettuale è volto a limitare i diritti delle comunità, per difendere i profitti delle imprese e per salvaguardare brevetti e marchi e per rafforzare il controllo delle corporation sull’informazione (es. dati relativi a studi clinici sui farmaci e sulle terapie) a spese dei cittadini europei e statunitensi. Sarà in pericolo la privacy dei cittadini permettendo alle compagnie l’accesso a dati personali.
Tutti gli ultimi governi da Prodi a Berlusconi, a Letta, all’attuale governo Renzi con il beneplacito di Napolitano, sono stati e sono fautori dell’accordo TTIP come confermato nell’ultimo incontro con Barack Obama (al quale è stato promessa una corsia preferenziale durante il semestre di presidenza italiano). Fortunatamente su entrambe le sponde dell’Atlantico si stanno rafforzando i movimenti di cittadini organizzati contro questa ferale minaccia, ma l’informazione sulle nefaste conseguenze del TTIP è estremamente carente sui media più diffusi.
Documenti rassicuranti e documenti di viva preoccupazione
La Commissione Europea dalla primavera del 2013 (Memo 12 marzo 2013) pubblicava documenti di informazione sul TTIP, sempre di contenuto rassicurante perché si propone di individuare alcuni metodi razionali per rendere maggiormente compatibili tra loro la regolamentazione dell’UE con quella degli Stati Uniti, garantendo allo stesso tempo un’adeguata tutela dei cittadini. Secondo alcuni studi indipendenti (?) commissionati dalla stessa C.E. la semplificazione che sarebbe introdotta dal TTIP potrebbe garantire alle nostre economie una nuova crescita dell’ordine di qualche miliardo ….e ….una collaborazione più stretta fra UE ed USA renderebbe più efficace la nostra regolamentazione. Gli interventi sarebbero sulla regolamentazione esistente e su quella futura riconoscendo formalmente che alcuni regolamenti hanno, in linea di massima, lo stesso effetto. Di conseguenza alle imprese sarebbe sufficiente rispettare una serie di norme per poter vendere su entrambi i mercati. La Commissione Europea, nel settembre del 2013, ribadiva l’intenzione di operare in modo trasparente, informando le parti interessate (imprese, sindacati, organizzazioni dei consumatori) attraverso le consuete procedure di consultazione. La Commissione ribadiva (nel settembre del 2013) che questa cooperazione normativa non andrà a vantaggio esclusivo delle grandi imprese a scapito delle piccole e medie imprese che impiegano la maggior parte dei lavoratori.
Siamo nell’agosto del 2014, la trasparenza della C.E. è tale che i documenti relativi alle 6 riunioni UE- USA svolte finora sono tutti restricted (ovvero secretati). Per fortuna è invece possibile reperirli in rete, per cui molti comitati e associazioni italiani, europei e statunitensi, ne conoscono i contenuti e sono in grado di valutare la gravità di quanto si sta tramando. Si distinguono in questa operazione di analisi puntuale Attac (a livello internazionale), e in Italia Sbilanciamoci!, gruppi di associazioni, di comitati e di movimenti politici come Stop TTIP Italia, ma anche GreenPeace, Friends of the Earth Europe, e Friends of the Earth United States, The Council of Canadians, Transport&Environment, Sierra Club, che hanno prodotto la pubblicazione Dirty Deals (Affari Sporchi), dove si evidenzia il ruolo delle potenti lobby rappresentate dalle società petrolifere e delle raffinerie che vogliono depotenziare la direttiva europea sulla qualità dei carburanti (Fuel Quality Directive, direttiva 30/2009) per lasciare il campo libero al commercio degli idrocarburi non convenzionali, come le sabbie bituminose canadesi.
La Commissione Europea vuole sostenere i benefici del TTIP basandosi sui (suoi) studi indipendenti i cui dati dipingono di rosa il futuro di UE e USA con il TTIP. Tali dati sono stati riportati dal quotidiano della Confindustria Il Sole 24 ore in un recente articolo dal titolo Ecco perché l’accordo commerciale UE-USA regala 545 euro a ogni famiglia europea, citando le conclusioni dello studio realizzato dal Centre for Economic Policy Research di Londra, a cui si affiancano il Bingham Consulting di Washington, Ecorys una compagnia internazionale di consulenza in campo economico, Bertelsmann una multinazionale multimediale con sede in Germania.
Secondo i cosiddetti studi indipendenti grazie al TTIP vi sarebbe un guadagno economico per la UE di 119 miliardi all’anno e di 95 miliardi per gli USA, quando fosse completamente implementato l’accordo e ogni famiglia europea incamererebbe all’anno un extra di 545 euro (e i disoccupati?), le esportazioni UE verso gli USA avrebbero un incremento del 28%, ovvero 187 miliardi di euro con un incremento del PIL da 0,3 all’1,3% (però in 10-20 anni). La disoccupazione dovrebbe rimanere stabile o, alla peggio, scendere dello 0.42% (il lavoro prima di tutto! Ma il TTIP non doveva essere welfare-enhancing, ovvero portare ad un incremento di benessere per la società?).
Alcune perplessità sui fasti del TTIP emergono dallo studio commissionato dal governo a Prometeia, (istituto di ricerca macroeconomica fondato nel1974 da Beniamino Andreatta), da Nomisma (società di consulenza fondata nel 1981 a Bologna da un gruppo di economisti, tra cui Romano Prodi) e dall’Istituto Affari Internazionali di Roma sui benefici economici delle liberalizzazioni, sia in riferimento al PIL, sia alle tasche dei cittadini europei.
Sulla stampa nazionale, a parte i rilievi critici sulla mancanza di trasparenza del percorso negoziale espressi da Il Manifesto, Il Fatto Quotidiano, Micromega e Pagina 99 we, pochi altri hanno espresso perplessità sui contenuti del TTIP o ne hanno scritto.
Rispetto ai contenuti degli studi che ne decantano le luminose prospettive esistono altri elaborati analitici e puntuali che ne confutano le rosee previsioni. Qualcuno obietterà che sono pure questi studi di parte, ma almeno non stanno dalla parte delle lobby della corrente neoliberista e si collocano in difesa dei diritti delle vaste comunità europee. In particolare vanno considerati gli studi analitici di OFSE, la fondazione austriaca per la ricerca sullo sviluppo, commissionati dal gruppo europeo GUE/NGL e la Fondazione Rosa Luxemburg di Bruxelles. La prima presenta una precisa e dettagliata anali dei rischi connessi all’approvazione del trattato. La seconda demolisce tutte le previsioni di incremento del PIL, dell’aumento dell’occupazione, e se, dal punto di vista dei commerci e degli investimenti aumenterebbe lo spazio di azione delle multinazionali, questo andrebbe a detrimento dei diritti dei cittadini, dei lavoratori e della regolamentazione in difesa della salute e dell’ambiente.
Dall’altra parte dell’Oceano non stanno a guardare
E’ oltremodo significativo che oltreoceano ci sia una mobilitazione contro il TTIP come la documentazione prodotta dal Center for food safety, fondazione statunitense, che considera il processo di negoziazione non trasparente e altamente antidemocratico, ritiene che l’influenza delle grandi corporation sia pressante, che sono in pericolo gli standard di sicurezza sul cibo e che gli obiettivi del trattato finalizzati al consumismo siano contrari agli obiettivi ambientali di riduzione dei gas climalteranti. L’Institute for agricolture and trade policy, la cui sede principale è a Washington, fa riferimento al documento secretato del 27/06/2014, entrando nel merito del capitolo relativo alla sicurezza alimentare e alla salute di piante e animali, lamentando come si sia voluto impedire la pubblicizzazione di questi temi, sotto la pressione delle corporation che hanno interessi in questi settori come le biotecnologie, i fitofarmaci, i mangimi arricchiti in ormoni e derivanti da prodotti OGM.
Analoghe considerazioni sono svolte nel documento A Citizen’s guide to TTIP, frutto di collaborazione fra l’American University School of international Service, la National Family Farm Coalition e la Rural Coalition.
Dallo studio della documentazione ampia, analitica, dettagliatamente critica esaminata ci sembra di poter concludere in sintesi che il TTIP sostituisce alla sovranità degli Stati il potere delle multinazionali ed elimina il controllo democratico dei cittadini e degli Stati che li rappresentano. Il sistema dei tribunali arbitrali è già stato introdotto in alcuni trattati d’investimento bilaterali o altri accordi di libero scambio. Citiamo alcuni esempi più rilevanti: la società energetica svedese Vattenfall ha citato in giudizio il Governo tedesco per 3,7 miliardi di euro, per la scelta di sospendere la costruzione di nuove centrali nucleari; il Canada ha pagato 122 milioni di euro alla società cartiera canadese AbitibiBowater; il gigante americano del tabacco Philip Morris è in causa con il governo australiano e l’Uruguay, i quali impongono che le avvertenze sulla salute occupino gran parte dello spazio sui pacchetti; l’Ecuador è stato costretto a rimborsare alla Occidental Petroleum 1,77 miliardi di dollari per la revoca del contratto, ma è stato rifiutato allo stesso Ecuador il risarcimento di 19 miliardi chiesti alla Chevron per aver contaminato la foresta vergine; e questi sono solo alcuni esempi.
Il TTIP è un accordo che va fermato, compito che affidiamo alle nuove componenti critiche elette nel Parlamento Europeo.