Konrad
Società e Diritti

8 marzo. Le donne lottano ancora.

Un augurio attivo e antiretorico a tutte le donne da Tatjana Tomičić

Non dirmi Buona Giornata. Alzati e lotta insieme a me!!!
Non dirmi Buona Giornata. Alzati e lotta insieme a me!!!

L’8 marzo è la Giornata internazionale della donna. L’idea nacque all’interno del movimento operaio nei primi decenni del Novecento. I temi ad esso legati erano la richiesta del diritto di voto per le donne (suffragio universale) e la lotta contro condizioni di lavoro spesso vicine allo sfruttamento. Le donne si unirono, internazionalmente, e in seguito a varie manifestazioni si cominciò, in momenti differenti, a utilizzare la Giornata della donna come simbolo di quelle battaglie. In seguito ricostruzioni storiche fittizie fecero coincidere l’8 marzo con il ricordo di un rogo in una fabbrica di operaie negli Stati Uniti. Poco importa l’origine filologica, quel che conta è che si tratta di una giornata scelta dalle donne come simbolo delle loro lotte e rivendicazioni.

Una giornata politica, nel senso alto del termine ossia di valutazione sociale di sé e di collocazione sociale delle relazioni.

L’8 marzo non è il giorno della mimosa e del cioccolatino.

Per uscire dalla retorica melensa, banale e mercantile, Konrad ha deciso di parlare di 8 marzo con Tatjana Tomičić presidente del Goap (Gruppo Operatrici Antiviolenza e Progetti) di Trieste.

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Ha ancora senso parlare di 8 marzo oggi?

Bisogna continuare a riconoscere il valore di questa giornata per dire una cosa importante: la discriminazione delle donne esiste e resiste ancora. Ricerche demoscopiche recenti ci continuano a dire che le donne nei media, nelle aziende, nelle istituzioni sono ancora troppo poche, soprattutto nei luoghi decisionali. Persino nelle aziende pubbliche spesso la presenza delle donne non viene garantita come dovrebbe. Voglio dire che nelle nostra quotidianità di donne c’è ancora emarginazione. Ovviamente oggi è meglio di 100 anni fa, ma c’è ancora molto da fare.

Si può ancora parlare di esclusione delle donne, di una loro marginalità?

Rispondo con un dato. Ogni anno sempre più donne si rivolgono al Centro Antiviolenza. Questo non significa che ci sia più violenza, ma semplicemente che emerge di più. Negli ultimi 3 anni abbiamo avuto un incremento del 30% di donne che si sono rivolte a noi. E il dato corrisponde al dato nazionale. Questo ci dice che sta migliorando la consapevolezza delle donne ma anche che c’è ancora prevaricazione, soprattutto in ambito familiare e domestico.

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Perché oggi si fa ancora violenza sulle donne?

La risposta è semplice e sta in un concetto antico come il mondo: il patriarcato.

Ancora oggi la nostra società continua ad applicare le stesse regole di 2000 anni fa: l’uomo gestisce il potere. Questo vale per ogni società, indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle e dalle credenze religiose. Le donne subiscono violenza in Afghanistan come in Svezia: la cultura che sta alla base è la stessa e destina la donna a un ruolo subalterno. Poi quando l’istituzione rende questo concetto legge è ovvio che la situazione peggiora, ma in generale il concetto patriarcale persiste ovunque.

Un tempo si trattava di lottare perché il salario era inferiore agli uomini o per avere il diritto di voto, tutti risultati quasi ovunque raggiunti. Lei ci sta dicendo però che oggi le lotte delle donne hanno ancora ragione di esistere

Le donne hanno sempre cercato di farsi valere negli ultimi 150 anni. Ci è voluto tempo,  organizzazione e ostinazione. E ci vorranno ancora. Per continuare a lottare contro un modello sociale immobile nei mille rivoli, anche indiretti, della prevaricazione. Voglio aggiungere che non sono solo le donne che devono lottare, ma anche i maschi.

I mille rivoli della prevaricazione arrivano fino alla violenza fisica diretta ma passano da molte forme di abuso, anche solo verbale, in una gamma che va dagli apprezzamenti fisici fino all’insulto

É chiaro che l’apprezzamento non è violenza diretta, ma il modello di riferimento è lo stesso: i maschi pensano che alle donne ci si rivolge in un certo modo, pensano che mettere in rilievo la fisicità sia normale e che spetti al loro ruolo farlo. Se il riferimento culturale del maschio resta questo si legittima il modello di prevaricazione. Ogni tipo di violenza è una forma di controllo.

Se continuiamo a pensare che la guerra sia lo strumento per risolvere i conflitti e sosteniamo e finanziamo il sistema che regge questo assunto, vuol dire che siamo ancora la società in cui è imperante la cultura della violenza. Fino a che gli stati perpetuano le guerre questa cultura verrà sdoganata ogni giorno. Non è una questione individuale ma sociale.

Possiamo rivolgere alle donne un augurio sano e politico per l’8 marzo?

Auguro a tutte le donne un 8 marzo di lotta. Una lotta che riguarda ognuna di noi, a cominciare da casa. Non dobbiamo tollerare neanche le piccole cose che suggeriscano prevaricazione. Non dobbiamo lasciar passare liscio nulla, a partire dal linguaggio con cui gli uomini si rivolgono a noi. Senza fare guerre, ma facendo sempre notare che anche l’utilizzo delle parole nasconde un modello mentale e sociale che mette sempre l’uomo al centro del potere.

Voglio anche augurare a tutte le donne di essere solidali con le altre donne

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Il GOAP

Alla fine degli anni Ottanta a Trieste un gruppo di donne afferenti all’UDI (Unione Donne d’Italia, nata in seno al Pci nel 1944) cominciò ad affrontare il tema della violenza sulle donne ed avviò un Telefono Rosa. Si fece poi pressante la necessità di incontrare fisicamente le donne utenti del servizio di aiuto telefonico. Iniziò così un percorso di formazione presso le Case della donne di altre città come Milano e Roma. Nel 1996 ci fu in Regione un corso di formazione destinato ad operatrici di un centro antiviolenza. Il 29 luglio 1998 nacque, da quel gruppo storico di donne legate all’esperienza del Telefono rosa e dalle nuove donne formatisi sul tema, il Goap che da allora gestisce una servizio di accoglienza e sostegno per le donne che hanno subito violenza.

www.goap.it

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