– di Muzio Bobbio –
Un’arte marziale conosciuta è il karate. I più sono convinti che sia giapponese, ma non è esattamente così. La sua origine è nell’isola giapponese di Okinawa dove l’arte del combattimento è antichissima. Le prime fonti storiche affermano che le relazioni fra il suo re e l’imperatore Ming risalgono al XIV secolo, quando una delegazione cinese di 36 famiglie fu inviata nella città di Naha; le conoscenze marziali cinesi iniziarono ad influenzare le tecniche di combattimento dei soldati. Ancora sino alla Seconda guerra mondiale i tre grandi filoni degli stili di karate okinawensi prendevano i nomi da alcune città: Naha-te (detto anche scuola Shorei) più simile al combattimento cinese meridionale mentre Tomari-te e Shuri-te (chiamati insieme scuola Shorin) trovano riferimento nella Cina settentrionale, in particolare l’ultimo stile con importati influssi provenienti dalla signoria giapponese di Satsuma.
Padre del karate moderno è considerato Anko Itosu (allievo del famoso Sokon Matsumura dello Shuri-te) che all’inizio del Novecento riuscì a farlo adottare come metodo educativo scolastico dissimulando le tecniche per uccidere contenute negli esercizi chiamati kata (combattimento immaginario contro uno o più avversari).
L’arte marziale dapprima insegnata in segreto a poche persone necessitava di nuovi metodi collettivi e sarà uno dei migliori allivi di Itosu, il “sergente Yabu” a portarli dalle accademie militari giapponesi, mentre un altro importante allievo di questa scuola sarà Gichin Funakoshi (detto Shoto, dalla firma che apponeva alle sue poesie). Egli, trasferendosi in Giappone negli anni Venti, cambierà il Tode, come allora veniva chiamata l’arte nel dialetto di Okinawa, in Karate che in giapponese significa mano vuota (cioé non armata) fondando così la scuola Shoto-kan.
Quando il padre lasciò l’insegnamento al figlio Yoshitaka (detto Gigo) questi, soffrendo di tisi e conscio che la vita non gli avrebbe concesso molto tempo per perfezionarsi, trasformò gli allenamenti in quelle maratone estenuanti in uso ancora oggi in molte scuole a lui legate.
Nel secondo dopoguerra, quando gli occupanti statunitensi concessero la ripresa delle arti marziali, i migliori allievi della scuola si riunirono fondando la Shoto Kai (associazione Shoto), ripresero lo stile di Gigo ed adottarono il metodo della sportivizzazione per non destare troppi sospetti nelle maestranze americane ed avere un rapido veicolo per la sua diffusione.
Quello che è sicuramente il primo e probabilmente l’unico stile di karate realizzato da un giapponese è il Wado-ryu (la via dell’armonia) di Hironori Otsuka che parte da posizioni ben più alte di quelle della Shoto Kai, includendo molte tecniche dal Jujitsu.
L’impostazione che oggi viene data a quest’arte può variare moltissimo, a seconda dello stile e dal Maestro che lo propone: da quello durissimo della Kyokushinkai a quello più morbido di diverse altre scuole. Sebbene la statistica evidenzi che gli insegnanti dei metodi morbidi praticano e vivono più a lungo, forse l’optimum suggeribile è: duro per i giovani, da ammorbidire man mano che passano gli anni. Il Karate è comunque un ottimo metodo per forgiare il fisico e lo spirito dei giovani in età adolescienziale in quanto, a livello psicologico, il linguaggio verbale del gesto (calci e pugni) che sembrano “allontanare” il proprio compagno-avversario, partecipa non al suo rifiuto ma all’affermazione della propria individualità, tipica di questa fase evolutiva.