All’inizio di agosto, Aleksei Navalny, prigioniero di coscienza e il più noto oppositore di Putin, è stato condannato a 19 anni da trascorrere in una colonia penale per accuse inventate legate all’”estremismo”.
Dal carcere Navalny ha fatto arrivare un messaggio, una “confessione” in cui accusa non Putin, ma Boris Eltsin e i suoi famigliari, di corruzione e di aver dato vita a un regime sempre meno democratico.
La nuova costituzione voluta da Eltsin del 1993 (duramente contrastato dal parlamento fece intervenire l’esercito) instaurava un sistema politico fortemente presidenziale, limitava i poteri della Duma.
Un recente studio di Orlando Figes (Storia della Russia, Mondadori, Milano, 2022) denuncia che Putin, voluto alla presidenza della Russia da Eltsin, «dopo ventidue anni di potere …era diventato un autocrate. Nessuno osava contraddirlo».
L’autocrazia è un’ eredità dei trecento anni di dominazione mongola dal tredicesimo al quindicesimo secolo e caratterizzò i regni di tutti gli zar. Forse il preferito da Putin è Nicola I (1796 – 1855) per aver istituito una nuova polizia politica, la “Terza Sezione”, per la difesa degli ortodossi nei Balcani e in Terra Santa, «per la sua resistenza contro l’Occidente in difesa dei ‘principi tradizionali russi’ durante la guerra di Crimea». Pochi anni prima il ministro dell’istruzione, Sergej Uvarov, ordinava di educare il popolo nello spirito dell’ortodossia, dell’autocrazia e della nazionalità. Gli slavofili distinguevano i russi «dagli europei per la forza della loro devozione alla Chiesa e allo zar» e per l’idea romantica che avevano della cultura popolare contadina. Al materialismo secolare occidentale contrapponevano «una concezione mistica dell’anima russa: uno spirito universale di amore cristiano e fratellanza innato soltanto nel popolo russo». E per Putin la forza della Russia si basa sui “valori tradizionali”, su patriottismo, collettivismo e sottomissione allo stato.
La guerra di Crimea si concluse con la cocente umiliazione dello smantellamento della flotta del mar Nero. Nella guerra del 1812 contro Napoleone, nel 1941-1945 la Russia non ricevette ringraziamenti dagli alleati occidentali. Il risentimento si è radicato nel paese. L’offerta di entrare a far parte della NATO e dell’Unione Europea fu ignorata. La rottura si ebbe con l’espansione della NATO, vista come un tradimento delle promesse verbali degli americani secondo cui l’ Alleanza non sarebbe avanzata verso est.
Il mito dei risentimenti verso l’occidente, la “grave provocazione” dell’espansione nei territori dell’ex Patto di Varsavia sono alla base dell’aggressione all’Ucraina.
Come finirà la guerra? Figes presenta nella sua opera diversi scenari, comunque «Un qualche genere di vittoria russa è l’esito più probabile, date le risorse a disposizione del Cremlino».
Ma forse qui si sbaglia.
Giuliano Prandini