Una breve riflessione sulle filiere low carbon
Green economy, green jobs, new green deal, etc. etc.: economia, lavori, nuova frontiera, tutto diventa verde.
Ambiente, ecologia, sostenibilità, rifiuto dei combustibili fossili, riduzione dei consumi, eincienza energetica, no al nucleare nelle politiche, nelle imprese, nel commercio, nei consumi, nella tecnologia, nell’occupazione.
Dell’argomento parlano in tanti: Serge Latouche ha scritto molto sul tema della decrescita a cominciare dal 2004 con Come sopravvivere allo sviluppo, dove viene già prospettato il rischio della globalizzazione dei mercati, anzi della megamacchina tecnoeconomica capitalistica e mercantilistica.
Latouche dubita che lo sviluppo (inteso come crescita) possa essere sostenibile, perché non può esistere una crescita produttiva infinita, e decrescita significa appunto abbandono dell’obiettivo della crescita illimitata, cioè rallentamento della dinamica del totalitarismo economicista, sviluppista e progressista, dinamica che dilata il consumismo e il workaholism frutti entrambi del mito tecnicistico e prometeico dell’artificializzazione dell’universo.
Ma se questa è la visione più critica dell’attuale modello economico neoliberista, quindi una concettualizzazione molto marcata, dal punto di vista sociale, delle conseguenze della dinamica dello sviluppo, in un quadro che parte da una visione più centrata sulla necessità di affrontare scientificamente i rischi dei cambiamenti climatici, si apre il nuovo scenario della green economy.
Per la Fondazione Symbola di Ermete Realacci nello studio Greenitaly, un’idea di futuro per affrontare la crisi, si afferma che”….la crisi ha posto in evidenza la necessità di ripensare i meccanismi di funzionamento del sistema economico, superando una prosoettiva incentrata sulia finanziarizzazione spinta, sulla centralità del profitto. Green economy significa politiche green da parte delle istituzioni, gestione green da parte delle imprese, sviluppo di tecnologie green da parte del mondo della ricerca, consumatori green oriented, occupazioni green ma soprattutto l’insieme integrato di questi elementi del sistema.”
Un punto forte della green economy è il riorientamento del settore energetico rispetto alla sfida del riscaldamento globale (low carbon economy), e verso uno sviluppo sostenibile in cui hanno la stessa rilevanza, accanto al ciclo dell’energia, i cicli dell’acqua, dei rifiuti, della filiera agroindustriale.
Competitivi diventano quindi processi, prodotti e servizi che garantiscono un basso impatto ambientale lungo tutte le fasi del ciclo della vita.
Questa è sostanzialmente anche la posizione assunta da UNEP (Programma ambientale delle Nazioni Unite) in Green Economy e in Green Jobs, definiti il doppio dividendo nello studio dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) Green policies and jobs: a double dividend? un doppio dividendo rappresentato dalla mitigazione del rischio climatico e dal rilancio su nuove basi dell’economia e dell’occupazione.
La green economy è diventata dunque il paradigma di un “nuovo” new deal, cui affidare le sorti del pianeta che, attraverso lo sviluppo di filiere manifatturiere verdi, dovrebbe innescare un meccanismo virtuoso per connettere sostenibilità, competitività e lavoro.
Nello stesso filone è anche l’analisi che compare nello studio dell’ires per la CGIL Verso la Green Economy: Lotta Al Cambiamenti Climatici e Fonti Rinnovabili: GN Investimenti, le Ricadute Occupazionali, le Nuove Professionalità. In Italia l’occupazione “verde”, tra posti di lavoro diretti e indiretti, è attualmente di poco superiore alle 100 mila unità; circa 10.000 addetti nell’eolico, circa 5.700 nel solare fotovoltaico, circa 25.000 occupati nelle biomasse, mentre il resto si distribuisce tra il geotermico, il solare termico, il mini idrico e le altre forme minori di produzione di energia da fonti rinnovabili, che impiegano nell’insieme circa 50 mila lavoratori.
Anche gli industriali presentano i loro studi sul tema. L’Airi (Associazione italiana per la ricerca industriale) individua dieci settori in “Le innovazioni del prossimo futuro: tecnologie prioritarie per ‘industria”, predisposto sempre nella logica della tutela ambientale in cui è la sostenibilità alla base dei piani di ricerca e di sviluppo.
Leggendo quest’ultimo rapporto viene spontaneo chiedersi: ma della green economy esiste un’interpretazione realmente univoca? In questo studio più che puntare a un deciso decremento nella produzione di CO, si afferma che”… la frontiera tecnologica e rappresentato ddie fecniche di catturo e sequesto dellamande carbonica (Carbon Capture and Storage), per confinaría sottoterra o negli abissi marini.”
E tanto per completare le contraddizioni concettuali: per definire verde un produzione manifatturiera innovativa, l’intera filiera dovrebbe comportare processi e materiali verdi dalla culla alla tomba (Lite cycle assessment). Non è ancora proprio così. Tanto per fare un esempio, la produzione di pannelli fotovoltaici di mono e polisilicio è una fíliera che presenta ancora delle fasi problematiche in cui sono utilizzate sostanze estremamente pericolose come i cloderivati del silicio, e gli idruri di fosforo, arsenico, boro, in un processo energivoro che però è estremamente raffinato dal punto di vista tecnologico. Le industrie che hanno investito nelle costose tecnologie di fabbricazione non vedono di buon occhio le tecnologie di terza generazione, quella dei semiconduttori organici e del grafene, che utilizzano materie prime presenti in natura, con una filiera produttiva economica ed ecocompatibile fortemente competitiva con la tecnologia attuale.
E questo il tema affrontato dallo studio del CNR l’opportunità di sviluppare in italia il fotovoltaico di terza generazione.
E forte quindi il dubbio che le brutali leggi del mercato globale non siano in realtà compatibili con lo sviluppo sostenibile e men che meno con la teoria della decrescita serena.
Alla prossima puntata.
Lino Santoro
tratto da konrad numero 163 di febbraio 2011