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Montagna

Il generale inverno ed il pane sotto la neve

Tempo di Lettura 4 Minuti

– di Riccardo Ravalli –

foto lorenzo monasta
foto lorenzo monasta

La neve da una curiosa sensazione di sospensione del tempo, un limbo ove convivono presente e passato, realtà e sogno.Fresca, attenua i suoni del mondo contingente e lascia riemergere i ricordi. Anche luoghi  normalmente caotici rallentano e l’artificiale viene per una volta ridimensionato.Ghiacciata, a fine inverno, temprata ma anche pericolosamente indebolita dalle oscillazioni della temperatura, sul punto di sciogliersi al tiepido sole primaverile, offre le ultime emozioni invernali, fondendosi poi in acque di liberi torrenti.Vorrei condividere le emozioni della montagna invernale che speriamo possa trovare nuovi adepti in futuro, sebbene non facciano ben sperare le attuali condizioni climatiche, caratterizzate da un progressiva diminuzione delle precipitazioni nevose.É impagabile la sensazione di magia che colora di bianco le nostre escursioni in montagna, ad esempio se ci inoltriamo nel bosco con le ciaspole, con i dovuti limiti e precauzioni, lungo un percorso che d’estate può sembrare insignificante.
Quanto è diverso però l’atteggiamento di coloro che in montagna vivono tutto l’anno. I ritmi, gli spostamenti sono resi più difficoltosi. Neve e ghiaccio sono ostacoli da superare ogni giorno. Il sole ed il calore dell’estate un ricordo, un ‘esigenza quasi fisiologica, mentre il Generale inverno mostra tutta la sua forza. Meno poetico il rombo delle motoslitte e di qualche elicottero per l’elisky, per fortuna ancora raro dalle nostre parti.
La neve è ancora fonte di pane, non più come protezione di colture agricole e di campi seminati ma come motore di un’economia sempre più condizionata dall’industria dello sci e del turismo. Questa offerta del mondo montano invernale in veste tecnologica, è in crisi come tutte le monoculture. Sport costoso ed artificiale richiama sempre meno giovani e non è compatibile con i cambiamenti climatici in atto: la neve è ora presente, con continuità e adeguati spessori, solamente sopra i 1300 m di quota. Nonostante ciò nuovi impianti, finanziati per la maggior parte da Amministrazioni pubbliche, continuano ad essere progettati, senza tener conto che molti comprensori sciistici andranno dismessi nel giro di pochi anni. Chi controlla l’effettiva redditività dei capitali pubblici che, in tempi di vacche magre, vengono sperperati in questo modo?

La gestione del territorio dovrebbe incentrarsi su interventi flessibili e reversibili, per far si che il Generale inverno, pur nella sua fisiologica durezza, continui ad essere il custode di patrimonio universale di biodiversità.

Dal punto di vista del singolo individuo, frequentare l’ecosistema montano, scampolo di mondo ancora incontaminato, fragile e severo per tutti gli esseri viventi, umani e non, richiede un approccio meditato, rispettoso della naturalità vi si è conservata quasi integra.

Il nostro approccio di cittadini è quindi un accedere attento ad un mondo incantato la cui frequentazione non e’ però così tranquilla e semplice come può apparire, per la propria ed altrui incolumità.

Il freddo è subdolo e le basse temperature, associate al vento ed altri fattori, possono risultare molto pericolosi specialmente per i più piccoli, se non difesi da abiti adeguati.

Il rischio valanghe diventa rilevante se esploriamo un bosco rado di abeti o larici con  pendenze dei terreni circostanti superiori ai 27° e spesso il seppellimento per soli 15 minuti può essere fatale per quasi tutti quelli che ne vengano coinvolti.

Un comportamento adeguato è inoltre necessario per non disturbare la fauna selvatica  che popola l’ambiente alpino.

Come facilmente si può immaginare, gli erbivori che non vanno in letargo sopravvivono in condizioni di estrema difficoltà, nutrendosi per lo più di piante secche, dallo scarsissimo potere nutritivo.

Nonostante queste criticità, proprio nel periodo invernale, i maschi di camoscio e di stambecco sono fieramente impegnati in combattimenti per la conquista delle femmine ed assicurare così la perpetuazione della specie, anche a scapito della sopravvivenza del singolo individuo. Al termine di questo periodo, molti di loro muoiono sotto valanghe o di stenti, a causa di nevicate eccezionali, o se nel periodo estivo non sono riusciti a cibarsi a sufficienza, in quanto arrivano a perdere fino a metà del proprio peso corporeo.

Avviciniamoci quindi a questo ambiente con cautela e rispetto per non costringere gli animali a fughe precipitose e ad inutili dispendi di energia. Seguiamo percorsi usualmente utilizzati, lungo i quali la presenza umana è quella di un ospite conosciuto e tollerato ed in discesa, non disperdiamoci caoticamente nel bosco.

Mi auguro che la domanda espressa da “cittadini ambientalisti” di un mondo alpino integro ed autentico aumenti e diventi lo strumento per salvare la montagna e sprone a tirar fuori da cantine e soffitte, abitudini, usi e costumi del passato non per un museo a cielo aperto ma per la salvaguardia di un territorio. Forse non gli sci di legno ikory, ma vorrei almeno una slitta trainata da sbuffanti cavalli haflinger, al posto di rombanti e puzzolenti motoslitte, da usare solo in caso d’emergenza.

La salvaguardia di questo ambiente alto montano, naturale o antropico, da scoprire o riscoprire un po’ alla volta, può dipendere anche dalla rinuncia a qualche confort tecnologico cui siamo sempre più acriticamente assuefatti.

In parallelo è indispensabile una gestione del territorio che ne valorizzi ed assicuri le peculiarità,  per uno sviluppo veramente sostenibile nel tempo.

Intanto lasciamo solo orme nella neve, quale traccia del nostro passaggio.

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