Noi esseri umani abbiamo da sempre un rapporto molto stretto con le formiche, con le quali condividiamo le risorse e il territorio. Si dice che in caso di conflitto totale e conseguente nostra estinzione saranno proprio loro, questi alacri e simpatici imenotteri, a prendere il nostro posto di padroni del mondo.
Ma forse il cambio della guardia è già in atto, a giudicare da quanto sta accadendo. Da qualche millennio a questa parte abbiamo infatti un rapporto profondamente simbiotico con una particolare razza di formiche. Loro proliferano di anno in anno sempre più, mentre noi siamo ormai in netta minoranza. Piccole come una briciola o grosse come una mano, rosse o nere, dolci e gentili o aspre e taglienti, le troviamo praticamente ovunque. Lungo le strade, schierate sui muri, perfino nelle cassette delle lettere ci fanno la posta (perdonate il gioco di parole). Ce le ritroviamo in casa, e non c’è Baygon che tenga. Una volta ho aperto un giornale ed era impressionante: tutto brulicante di affarini neri. Eppure dobbiamo loro rispetto, e non solo perché sono più forti di noi ma perché ci hanno insegnato buona parte di ciò che sappiamo, perché sono loro che – forse più della stazione eretta – ci hanno permesso di elevarci, di pensare, di strutturarci.
I caratteri dell’alfabeto ormai sono diventati non solo parte di noi, ma una nostra propaggine, il nostro avatar tipografico. Se la nostra mente fa fatica a incamerare dati e nozioni, se la memoria è quella che è, se le persone prima o poi se ne vanno, niente paura: ci sono i caratteri dell’alfabeto che come piccole formiche incamerano fedelmente ogni cosa affidiamo loro, per salvaguardarci dagli inverni della mente e dello spirito. I testi scritti hanno diversi livelli di lettura: c’è quello del significato, c’è quello linguistico e grammaticale, c’è quello dei simboli… Ma c’è un livello che viene in genere dimenticato: quello della forma e del tipo dei caratteri.
Se bazzicate con il computer avrete certamente sentito parlare del “Times New Roman”, del *Verdana” o del “Comic Sans”: si tratta di tre fa i più famosi caratteri tipografici, o “font”.
Interessante a mio parere è l’effetto, oserei dire subliminale, che produce su di noi ogni tipo di carattere. Anche se leggiamo di fretta, anche se non c’importa niente di cos’è un font, non possiamo fare a meno di assorbire insieme al contenuto della pagina anche una certa impressione, una sensazione impalpabile se ci troviamo di fronte ad un alfabeto piuttosto che a un altro. Non mi credete? Provate a stilare un curriculum vitae per presentarvi a un colloquio di lavoro in “Comic Sans”: se il posto è una banca o un’agenzia di assicurazioni, non stupitevi se vi squadrano e dicono che non hanno più bisogno. Andreste a una festa di Capodanno in una discoteca che stampa i volantini con il carattere Arial? Figuratevi che barba. Scrivereste una lettera appassionata con il carattere “Homicide Effect”? A meno che i vostri gusti in fatto di amore non siano DAVVERO particolari, ve lo sconsiglio.
Magari questi sono esempi estremi. Molti dei caratteri usati normalmente per la stampa si differenziano per particolari minimi, una curva un po più arrotondata o un’asta un po’ più sottile. Si parla di centesimi di millimetro, eppure ci sentiamo tutti un po’ traditi quando ad esempio il nostro quotidiano cambia impaginazione e carattere, anche se poi dopo qualche giorno ci abituiamo.
Siamo portati a pensare che gli alfabeti in qualche modo siano “già fatti”. Provate ad osservare la pagina che state leggendo con occhi diversi. Pensate che ogni lettera dell’alfabeto, anche se è stata stampata meccanicamente, anche se è apparentemente semplice, deve la sua forma allo studio, al senso artistico e all’abilità di un disegnatore di caratteri. Realizzare un alfabeto completo – tra minuscole, maiuscole, numeri, segni di interpunzione, lettere straniere eccetera (in totale anche 200 simboli e più, senza contare il grassetto, il corsivo, ecc.) – richiede mesi e perfino anni di lavoro.
Dietro ogni buon carattere c’è uno studio enorme perché, come nell’architettura o nella musica non si può mai partire da zero, bisogna vedere cos’è stato fatto in passato, bisogna seguire certi canoni sedimentati nei secoli, bisogna lavorare come equilibristi sempre sul sottile filo fra tradizione e innovazione.
Molti dei caratteri attuali derivano da quelli realizzati tra il Cinquecento e il Settecento, epoca dei grandi maestri stampatori. A loro volta molti caratteri di questo periodo si rifanno alla tradizione calligrafica medioevale. Personalmente mi commuovo sempre (devo essere davvero matto!) quando osservo un segnale stradale o una confezione di carta igienica e penso che i caratteri utilizzati non sono altro che – niente-meno! – i pronipoti di quelli usati 4000 anni fa dai Fenici.
Le “grazie”, ovvero i sottili “piedi” che si trovano alle estremità di certi tipi di carattere, derivano invece dalle iscrizioni lapidarie romane. In origine servivano per nascondere i segni dello scalpello. Oggi potete scaricarvi da Internet il font “Trajan” e scolpire comodamente i vostri testi alla tastiera. Oppure con il carattere “Oncial” produrre perfetti scritti medioevali. Se uno è ecologista incallito può usare gli “Ecofont”, font con i buchi come il formaggio Emmenthal per risparmiare inchiostro, mentre chi ha amici nel mondo di Star Trek può usare una variante del “Fedra”, concepita appositamente per comunicare in linguaggio klingon. Insomma, ce n’è per tutti i gusti.
Vi lascio anche un compito per casa. Pare che uno dei due aerei che si schiantarono sulle torri gemelle fosse il volo Q33NY. Andate su un programma come Word e digitate questo codice, rispettando le maiuscole e usando il “font” più grande che potete.
Cambiate il tipo di carattere in “Wingdings” e ditemi cosa vedete. Stupiti, vero? Tenete presente che il font “Wingdings” è stato realizzato nel 1992, nove anni prima del disastroso evento. Com’è possibile? La risposta la trovate su www bazardelbizzarro.net/11settembre.html: ho realizzato questa pagina appositamente per voi.
Per oggi direi che basta: ho raggiunto il numero dei caratteri a mia disposizione.
Francesco Gizdic
obnauta@tin.it
tratto da Konrad numero 163di febbraio 2011