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Matteotti, quello vero

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C’è, nel caso di Giacomo Matteotti (ma anche in altri), la tendenza a privilegiare un solo aspetto della sua biografia, cioè la tragedia del suo assassinio. Con ciò cristallizzandone la figura in quella del “martire” della violenza fascista. In questo modo però mettendo in ombra tutto il resto della sua vicenda umana e politica.

Così ha fatto, per esempio, anche Giorgia Meloni, commemorando nel centenario della morte un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee”.  

Orbene, Matteotti fu ucciso sì da un gruppo di squadristi guidato da Amerigo Dumini, (vale la pena leggere almeno la pagina che gli dedica wikipedia) ma dev’essere ricordato quanto disse Benito Mussolini, nel replicare in Parlamento alle accuse di essere coinvolto nell’assassinio del deputato socialista: “…dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.” 

Almeno questo sarebbe stato doveroso dire, da parte della Presidente del Consiglio, ma è facile comprendere perché non l’abbia fatto…

Va però anche detto che Matteotti non fu ucciso “per le sue idee”, o comunque certo non soltanto per quelle. Il deputato socialista era infatti odiato da tempo dai fascisti perché tenace e intransigente nella denuncia delle violenze – compresi molti omicidi – perpetrate per anni dalle squadracce in camicia nera contro gli avversari politici, le sedi di sindacati e organi di stampa. Il deputato socialista aveva dato alle stampe, alla fine del 1923, nell’anniversario della presa del potere da parte di Mussolini dopo la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, “Un anno di dominazione fascista”, una critica intransigente al fascismo, di cui condanna la violenza sistematica nella gestione del potere e le contraddizioni stridenti tra le politiche annunciate e quelle attuate (come l’incentivo alla speculazione finanziaria), l’abuso dei decreti legge – un vizio che perdura anche oggi… – e un lungo elenco di intimidazioni da parte di Mussolini, dei suoi gerarchi e della stampa allineata nei confronti degli avversari politici. Libro poi tradotto in inglese e pubblicato anche a Londra nel 1924. A tutto ciò si aggiunse infine la denuncia delle ulteriori violenze e dei brogli in occasione delle elezioni dell’aprile 1924.

In questo Matteotti fu coerente con la propria storia politica: militante nel Partito Socialista fin dagli inizi del ‘900, aveva svolto una carriera da amministratore locale in alcuni Comuni del Polesine dov’era nato nel 1885. Sempre schierato con i riformisti, si scontrò con la corrente massimalista del partito, tra i cui leader spiccava negli anni ‘10 Benito Mussolini. Oppositore del colonialismo e fautore della neutralità italiana nella Grande Guerra – a differenza di Mussolini, convertitosi nel frattempo all’interventismo – Matteotti subì il confino tra le montagne del messinese in quanto “disfattista”. Eletto deputato nel 1919, e poi rieletto nel ‘21 e nel ‘24, si distinse per la preparazione nelle materie finanziarie: propose tra l’altro una riforma tributaria con forti caratteri di progressività (che sarebbe all’avanguardia anche oggi, se si pensa alla flat tax propugnata e purtroppo in parte attuata grazie ai partiti di destra…). 

Odiato dai fascisti, Matteotti fu però nel contempo detestato (e perfino dileggiato) dal resto delle sinistre, tanto dagli ex compagni socialisti di tendenza massimalista, quanto dai comunisti. Nell’ottobre 1922 il Partito Socialista Italiano, in cui predominavano i massimalisti, aveva espulso infatti i riformisti, guidati da Filippo Turati, Claudio Treves e appunto Giacomo Matteotti, che divenne segretario del neonato Partito Socialista Unitario. Nel gennaio 1921, invece, un’altra scissione del Partito socialista aveva dato vita al Partito Comunista d’Italia, che si ispirava al modello rivoluzionario leninista russo.  

Non veniva perdonata a Matteotti l’adesione alla prospettiva riformista, da parte di quanti erano abbagliati dal mito rivoluzionario e volevano “fare come in Russia”. Nel partito di Gramsci e Togliatti lo si considerava un “socialtraditore” e si arrivò a definirlo “pellegrino del nulla”, in quanto oppositore della rivoluzione armata di stampo sovietico. 

Erano tempi nei quali il prevalere dei totalitarismi nascenti non sopportava l’esistenza di chi si ostinava a perseguire una prospettiva ispirata ai principi della democrazia liberale. 

Tra i tanti libri dedicati a Giacomo Matteotti, ne segnalo due: L’antifascista di Massimo L. Salvadori, Donzelli Editore, 2023 – Solo di Riccardo Nencini, ed. Mondadori, 2021

Dario Predonzan

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