Devota è il racconto che chiude (ponendosi come efficacissima sintesi) la raccolta Ballo di famiglia, esordio letterario di David Leavitt del 1984. Parla di una ragazza, Celia, e due ragazzi, Nathan e Andrew. Omosessuali questi ultimi, tra loro una tormentata relazione, e una simpatia (forse) della ragazza per Nathan. Un equilibrio di rapporti, quindi, con Celia che «galleggia» (testuale) tra Nathan e Andrew, tra il loro mondo che tanto la affascina. Al punto che il racconto si apre proprio con Celia che, immersa nell’acqua di una piscina, percepisce i rumori attutiti e le immagini distorte al di là della superficie dell’acqua dentro la quale, appunto, sta galleggiando (serve ribadire, per l’ennesima volta, quanto nei grandi racconti niente sia per caso?). Tale scena si svolge nella sfarzosa residenza alla periferia di New York dei genitori di Nathan, mentre questi sono fuori per il fine settimana, e introduce il mondo, tipico, delle storie di Leavitt: la classe media americana, tendenzialmente benestante, bianca, senza che si facciano questioni di minoranze, miseria o ghettizzazioni. E non perché, ovviamente, non siano rilevanti, ma perché a Leavitt interessa altro. I sentimenti, in particolare, i rapporti umani, spesso lacerati e tormentati proprio laddove il benessere economico sembra porsi come una patina sotto la quale credere che tutto sia perfetto.
Il racconto muove da questo momento presente, da un litigio più forte del solito tra i due amanti, dalle crepe che si aprono nel loro rapporto tumultuoso e dalle quali fuoriescono i flashback che vanno a pennellare i vari caratteri. Una struttura che, se in queste premesse si mantiene convenzionale, diventa prorompente nel modo in cui Leavitt la conduce. Centro di tutto è proprio Celia. La ragazza è presente in ogni scena, sia essa da sola, o in compagnia di uno o entrambi gli amici (come confidente dei due). Una soggettiva fissa, dunque, ma funzionale a un discorso che, come detto, porta la forma a divenire sostanza. Perché questo è un racconto che parla di relazioni, di equilibri, ed è dal loro interagire con la ragazza che emergono i rapporti tra Nathan e Andrew (l’impulsività di Andrew, le ritrosie di Nathan, la genuinità del primo, l’apparente superiorità del secondo…). E qui, inoltre, si consuma il centro tematico del racconto: nonostante Celia sia sempre in scena, rimarrà fino all’ultimo un carattere misterioso, una ragazza costantemente irrisolta nei suoi desideri come nella sua essenza. E questo perché lei cerca sé stessa unicamente dal confronto con gli altri, incapace di costruirsi una propria identità autonoma. Celia si riconosce solo in rapporto ai due amici, impossibilitata a rivelarsi a sé stessa ma tesa costantemente a questa ricerca. Al punto che vero motore (e protagonista) del racconto è forse proprio il desiderio: quello di Celia di voler appartenere al mondo dei due amici, quello di Nathan per la normalità di una condizione che lo fa comunque soffrire (la paura di rivelare la propria omosessualità), quello di Andrew per un rapporto sfrondato da substrati di falsità e costruzioni. Anche se, specularmente, potrebbe dirsi che il punto più profondo di tutto il discorso sia proprio la consapevolezza, restituita con una scrittura precisissima, che è dai rapporti con gli altri che emerge la nostra vera essenza, che solo uno sguardo esterno è in grado di restituirci la nostra identità.
E poi, naturalmente, i sentimenti. Leavitt tratteggia il rapporto omosessuale tra i suoi personaggi (qui, ma anche negli altri racconti della raccolta) come semplice rapporto amoroso, non sentendo il bisogno di ostentarne le peculiarità (sono gli anni ’80 e l’Aids, per esempio, non è nemmeno citato fuori campo), asservendo unicamente la propria poetica e toccando in questo modo momenti di bellezza estrema «la prima volta che vai a letto con qualcuno è come se vedessi un corpo per la prima volta. Osservavo tutto. Ricordo che ero meravigliato vedendo il suo diaframma che si alzava e si abbassava mentre lui dormiva, perché non avevo mai guardato nessuno dormire. E per avermelo fatto scoprire, per questo, io lo amerò sempre, anche se si comporta in questo modo. Non dimenticherò mai com’era mentre dormiva». Di nuovo, è il palesarsi di un sentimento e del rapporto che ci lega a esso a rivelarci chi siamo.
La necessità delle relazioni umane è, in conclusione, l’essenza più intima di tutti i racconti contenuti in Ballo di famiglia, una necessità che forse è stata prima di tutto del loro autore, un ragazzo che aveva poco più di vent’anni quando li pubblicava ma che, nonostante l’età, è stato capace di creare personaggi di una vividezza impressionante, incidendo pagine che, anche dopo ripetute letture, incantano e incendiano gli occhi.
Ivan Zampar
Devota tratto da Ballo di famiglia di David Leavitt, SEM – Società editrice milanese 2021, traduzione di Fabio Cremonesi, con introduzione di D. Leavitt, 231 pagg.
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In Copertina: Foto di Fabio Gon, I’m not like everybody else