Un racconto – non ci si stancherà mai di dirlo – è tanto più riuscito nella misura in cui ognuno dei suoi elementi risulti strettamente funzionale alla narrazione. E uno di tali elementi (anzi, il primo tra tutti) è il titolo. Che tra le sue molteplici funzioni (fornire una chiave interpretativa, raccogliere e sintetizzare le tematiche, introdurre all’atmosfera) ha anche quella di porsi come vero e proprio elemento narrante. È il caso del racconto preso qui in esame, intitolato Qualcosa era successo. Perché sì, qualcosa era davvero successo, prima ancora che la storia fosse iniziata. Senonché i passeggeri del treno che veloce, troppo veloce, attraversava l’Italia da sud a nord, non sapevano cosa, né erano in grado di immaginarlo. Inermi, passivamente costretti all’attesa, potevano solo stare lì, a guardare fuori dai finestrini le città via via più spopolate man mano che ci si avvicinava a Milano, i volti della gente via via più preoccupati, terrorizzati persino, via via che il treno sfrecciava verso una sorte che non sapevano immaginare. Si fosse fermato a una stazione, almeno, avesse concesso una pausa nel corso della quale chiedere chiarimenti, ma dopo quel primo stop all’inizio del suo viaggio non sembrava intenzionato a fermarsi più. Il treno andava, e andava sempre più veloce, e con esso correvano veloci i dubbi, le paure. Le domande che nessuno dei passeggeri osava fare, quasi che il silenzio, l’ignoranza avessero potuto tenere lontano il pericolo, la paura…
Suspense, si potrebbe dire. No, non proprio. Mistero, allora, per l’esito incerto, sorpresa. No, neanche. Differenze sottili, in realtà, ma che Buzzati ben dimostra di conoscere e applicare con chirurgica precisione in questo brevissimo racconto contenuto nell’ormai storica raccolta I sessanta racconti. Hitchcock, che di queste cose un po’ ne capiva, aveva illustrato con un esempio semplicissimo – e ormai celebre – la differenza tra i due stati d’animo: due persone, sedute a un tavolino; sotto di loro una bomba. Sarà suspense se, a differenza dei protagonisti, chi guarda la scena è a conoscenza della bomba (ne sa, cioè, più dei personaggi) e si chiede quando la bomba esploderà e con quali conseguenze. Sarà invece sorpresa, se lo spettatore (o lettore, nel nostro caso), ed eventualmente i personaggi, nulla sanno della bomba perché, a quel punto, se la bomba esploderà, chi guarda rimarrà inevitabilmente stupito.
Né suspense né sorpresa, però, si è detto, in Buzzati. Perché l’autore bellunese aggiunge un elemento in più. A differenza della bomba di cui tutti ignorano l’esistenza (sorpresa) o di cui sa qualcosa solo il lettore (suspense) qui tutti (i personaggi e il lettore) sanno che qualcosa sta per succedere (anzi, è già successa, come anticipa il titolo, ingigantendo ancor di più il lacerante senso di inevitabilità) ma non cosa. Sanno però che è qualcosa di fuori dall’ordinario. E questo elemento di incertezza potenzialmente pericoloso travalica la suspense e il mistero diventando altro. Diventando paura. Sì, perché Buzzati sa benissimo che la cosa più spaventosa è proprio l’ignoto, l’imponderabile di fronte al quale non sono possibili previsioni e, di conseguenza, difese. Per questo pone il lettore allo stesso livello dei protagonisti e il terrore di questi diventa il suo. Poiché il lettore, qui, sa le stesse cose dei personaggi, e ha in mano solo gli elementi che Buzzati ha scelto di mettere in evidenza.
E Buzzati è diabolicamente abile a consegnare, a noi e ai suoi malcapitati passeggeri, solo elementi che aumentano a un grado insostenibile la tensione e la paura: una pagina di giornale strappata in corsa da una persona ferma a una stazione che contiene il frammento di un titolo a tutta pagina di sui si leggono solo poche lettere, le stazioni sempre più deserte man mano che ci si avvicina alla meta, il passaggio inesorabile del tempo (cinque ore, due ore all’arrivo…), un treno che rallenta alle stazioni ma che continua a procedere, il maniglione del freno che viene mostrato per un istante ma che nessuno ha il coraggio di tirare (esplicitando la paura per qualcosa che tutti, evidentemente, preferiscono occultare)… E così fino all’arrivo, fino alle ultime, terrificanti parole che concludono questo piccolo gioiello.
Ma forse è persino inutile parlarne. Perché Buzzati è un maestro di attese e di angosce, siano esse su un treno, in una fortezza affacciata a un deserto, dentro una vignetta sfigurata dallo sgomento. E sa quanto e cosa inserire, quanto e cosa tenere nascosto, per spaventare o inquietare.
Quando si dice: leggere per imparare a scrivere.
Ivan Zampar
Qualcosa era successo tratto da Sessanta racconti – Oscar Mondadori; 1995; 516 pag.
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In Copertina: Foto di Fabio Gon, Presagi