Il primo gennaio di quest’anno è caduto il ventennale della scomparsa di Giorgio Gaber, ma ho impiegato diversi giorni per decidere se pubblicare un articolo su di lui ma soprattutto come esprimere il mio pensiero su colui che considero uno dei maggiori artisti musicali italiani del secolo scorso assieme a personaggi del calibro di Fabrizio De Andrè e Lucio Dalla.
Aveva iniziato assieme a grandi artisti (quali Adriano Celentano ed Enzo Jannacci) all’epoca del rock’n’roll con canzoni leggere ispirate dalla sua realtà diventando poi presentatore televisivo e sul piccolo schermo ha a lungo duettato con Mina; poi con un cambiamento radicale si è inventato il teatro-canzone, dedicandosi ad altri ambienti ed a un altro pubblico, molto più adatti alla sua indole.
Posseggo, ancora su dischi di vinile, le registrazioni di tutti i suoi spettacoli ed ho potuto godere della sua arte anche dal vivo: ciò che mi ha sempre attratto nella sua produzione, oltre al piacevolissimo ed estremamente variegato lato compositivo ed alla sua espressività nei monologhi e nel cantato, sono stati i testi che quasi sembravano poter spiegare i miei stessi pensieri.
In taluni pezzi in modo particolarmente ironico o in altri potentemente struggenti, riusciva a mettere in evidenza quei dubbi umani e contemporaneamente quei paradossi sociali tipicamente italiani. In un suo monologo disse: «La coscienza, o è individuale o è sociale; quando è tutte e due è un casino»… beh, lui riusciva a metterle entrambe in evidenza, e spesso alla berlina, in modo eccezionale.
Per decenni ho vissuto gli stessi dialoghi interiori, gli stessi dubbi, le stesse avversioni che lui raccontava e cantava; poi, con la sua scomparsa ho avuto meno occasioni di ascoltarlo, ma, grazie a qualche “richiamo” in occasione del ventennale, sono andato nuovamente alla ricerca di quanto avevo ascoltato all’epoca e ho fatto due grandi scoperte: la prima è che io non sono più quello di trenta e più anni fa, sono evoluto e maturato, e sarebbe stato grave non fosse così; la seconda è che grandi artisti come lui rimangono quelli le cui opere hanno percorso in sintonia la mente di milioni di italiani della sua (e mia) epoca, ma che anche oggi possono toccare nell’intimo molti di coloro che non hanno ancora conosciuto Giorgio Gaber.
Muzio Bobbio