Le note di Fabio Zoratti erano presenti come le pietre degli edifici vicini in cui e forse anche a cui suonava, ma con una caratteristica del tutto umana: si modificavano all’incedere dei passanti. Me lo disse lui (ma bastava aver un minimo d’orecchio) che sceglieva la musica in base ai passi o ai vestiti o al viso o a quello che riceveva da un passante che lo aveva colpito (marcia, mazurka, polka, canzone d’amore, classica…). Alle volte sono stato anch’io preso di mira dalla sua sensibilità. Non spetta a me dire delle sue qualità musicali o del suo talento, se non citare un piccolo esempio di molti anni fa: durante un concerto folk lui suonava ma non lo si sentiva, e non capivo perché lui non facesse niente. Andai a fine concerto per chiedergli delle spiegazioni, magari c’era un problema con l’impianto, ma no, aveva calato il volume a zero per non emergere troppo in un gruppo non molto capace. Insomma, non voleva farli sfigurare.
La sua modestia lascia un buco in Cavana e nelle anime che l’hanno incontrato.
La sua modestia lascia un buco in Cavana e nelle anime che l’hanno incontrato.
Ah, fu anche un esperto e collezionista botanico, che avesse preso dalle piante il suo approccio alla musica, alla vita?
Riccardo Redivo