Incontro con un giovane croato
Matej Babic, originario di Fiume, è uno studente-lavoratore. Iscritto al 2006 alla facoltà di farmacia, lavora quasi a tempo pieno nel settore della ristorazione e del catering.
Cosa ti ha portato a venire a Trieste?
Questa scelta ha radici lontane. Trieste la conosco da quando ero bambino, andavo con i miei aerei verso Lussino e la spesa era qua. Ogni volta che passavo davanti all’edificio centrale dell’Università rimanevo colpito dall’imponenza della struttura e pensavo: “Qua verrò a studiare quando sarò grande”. Trieste, oltre a essermi sempre piaciuta, rappresentava tante cose: era il luogo dove erano venuti a vivere i miei nonni, amici, la possibilità, dopo il liceo, di andare via di casa.
Conosci già l’italiano?
E’ la mia lingua madre, in quanto mia madre è fiumana. Perchè, quando ho frequentato per un anno l’università a Fiume mi sono trovato in difficoltà col croato.
Che lavoro svolgi oggi?
Oggi nessuno: sono sul divano! Scherzo. Lavoro nel settore della ristorazione e del catering.
La Croazia dovrebbe entrare nell’Unione europea tra qualche anno. Cosa ne pensi a riguardo?
Ti confesso che lo trovo poco probabile: è prematuro. La Croazia dal punto di vista socio-politico è già pronta da tempo, a differenza della Bulgaria e della Romania che, ufficialmente messi in via di sviluppo, hanno una realtà interna quasi identica a quella medioevale. Quello che ostacola realmente la sua entrata è la presenza di dinamiche economico-politiche ancora poco chiare. Dagli anni ’90 non viene progettata una seria politica di sviluppo e tutte le attività redditizie, quali il turismo e la gestione delle banche, sono state progressivamente privatizzate. Oggi il capitale va, quindi, all’estero e non sono state realizzate nei settori che ne avrebbero più bisogno.
Quali sono state e sono le ripercussioni di questo sulla società?
A parte il fatto che un giorno, probabilmente, per visitare la spiaggia della mia infanzia, dovrò pagare un ticket a un francese, il tutto è diventato sempre più ricco e il povero sempre più povero; di conseguenza c’è un’élite composta dal 10% della società e un restante 90% che non arriva alla fine del mese: il ceto medio è sparito.
L’entrata in Europa allora non potrebbe garantire un progetto economico più serio per una crescita interna più omogenea della Croazia?
Per crescere bisogna avere delle basi: la Croazia non ne ha. Il capitale è uscito e continuerà a uscire.
Cambiamo discorso. Nell’immaginario locale i giovani croati sono molto intraprendenti, autonomi e magari anche un po’ furbi. Cosa ne pensi?
Gran parte dei croati di Trieste sono studenti: ricordati che chi, dei miei conoscenti, va a studiare all’estero ha le spalle economicamente molto coperte. Io infatti sono un’eccezione. Per questo loro non rappresentano effettivamente la Croazia. Per quando riguarda gli altri, ricondurrei il loro modo di fare a questa massima: “Quando non hai, ti arrangi”. Penso che la necessità renda le persone intraprendenti ed autonome in tutte le culture.
Oggi l’Italia è in difficoltà, ma i nostri giovani forse appaiono meno intraprendenti e più “bamboccioni”…
In Italia è stata una vera disuguaglianza anche oggi in realtà non si soffre la crisi quanto nei paesi vicini. A Belgrado, per esempio, una busta paga media è di 250 euro al mese e i prezzi nei supermercati sono simili a quelli italiani. I ragazzi italiani se sembra appoggino un po’ le morali, devono rendersi conto che da nessuna parte al mondo si sta bene quanto si stava negli anni ’90. Stati come la Germania e la Spagna, avendo avuto politiche migliori, hanno semplicemente un benessere leggermente più diffuso.
Credi nell’Italia che ha “bamboccioni”?
Beh, sono sicuramente mammoni. A 40 anni sono ancora a casa con i genitori. Dicono che gli stipendi bassi non permettono loro di fare altrimenti…
Non ci credo. Allora come faremo a sostenere a 25 anni un mutuo? Penso che a 18 anni, quando sono venuto in Italia, avevo più debiti che soldi sul conto corrente.
Hai prima accennato a Belgrado, il 17 febbraio il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza. Cosa ne pensi?
Penso sia giusto che il Kosovo si sia separato dalla Serbia: al suo interno c’era solo il 20% di presenza serba. Sarebbe stato forse meglio se fosse risolta la questione con un referendum, come è avvenuto in Cecoslovacchia. Il conflitto politico, comunque, non segna un confine definitivo della società culturale di un territorio. Voi lo sapete ora più di ogni altro, dopo che quello vostro con la Slovenia si è dissolto due mesi fa, come neve al sole.
Agnese Ermacora
tratto da Konrad numero 134 di marzo 2008
