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Plastica forever?

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Da anni i media di tutto il mondo pubblicano immagini e servizi sull’inquinamento dovuto alla dispersione di oggetti e rifiuti di plastica nell’ambiente. 

Negli anni si sono accumulati anche gli studi scientifici sui danni provocati dalla dispersione dei materiali plastici e dalla degradazione degli stessi. Non soltanto i danni diretti, già di per sé gravi, ad esempio su alcune specie animali (emblematico il caso delle tartarughe marine che scambiano i sacchetti di nylon per meduse, li inghiottono e ne muoiono soffocate), ma soprattutto l’ingresso dei prodotti del disfacimento di materiali plastici – sotto forma di micro e nano particelle – nelle catene alimentari, arrivando quindi anche agli esseri umani. 

Più di recente, ulteriori studi hanno dimostrato la pericolosità per la salute umana di moltissime sostanze contenute nelle o veicolate dalle micro e nano particelle di plastica, una volta che queste siano arrivate negli organismi viventi. Un recente studio della prestigiosa rivista Lancet ha dimostrato che si tratta, per quanto concerne la salute umana, di danni di molto seri: alcuni scienziati li considerano di gravità paragonabile a quelli dell’esposizione all’amianto…

qui il link all’articolo di Lancet: https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(25)01447-3/abstract

Enormi quantità in gioco

Le dimensioni del problema sono colossali: si calcola che la produzione mondiale di plastiche, pari oggi a quasi 500 milioni di tonnellate all’anno, raddoppierebbe entro il 2050 in assenza di regolamentazioni. Di questa massa, oggi meno del 10% viene riciclata, la metà finisce in discarica e il 19% è incenerito, mentre il restante 22% è disperso nell’ambiente, soprattutto negli oceani. Derivando da combustibili fossili, secondo le stime dell’UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) la produzione delle plastiche rappresenterebbe nel 2050 il 15% delle emissioni globali di gas serra. Limitarne la produzione – Perù e Ruanda, leader della coalizione dei sostenitori del trattato, proponevano una riduzione del 40% entro il 2040 – è quindi anche un’esigenza per la lotta ai cambiamenti climatici.

Il riciclaggio non è una soluzione 

Per molto tempo si è ritenuto che la soluzione del problema fosse rappresentata dal riciclo delle plastiche, finalizzato a produrre nuovi oggetti – sempre in materiale plastico – dalla trasformazione di quelli (contenitori, imballaggi, giocattoli, ecc.) che avessero esaurito la funzione per la quale erano stati realizzati. Non è così, purtroppo.

L’obbligo, sancito per legge, di incorporare nei nuovi prodotti – tubazioni per l’acqua, vestiario in pile, ecc. – una percentuale di plastiche riciclate e trasformate, in realtà si traduce alla fine nella dispersione nell’ambiente di nuovi polimeri degradati non più riciclabili, cioè nella diffusione di grandi quantità di microplastiche nell’ambiente.

Servirebbe quindi una regolamentazione che imponga il controllo ex ante sulla produzione di polimeri, in base al principio di non produrre più quelli di cui non sia possibile il trattamento a fine vita. Inoltre, dovrebbe essere applicato un criterio di responsabilità civile completa dei produttori, imponendo loro il ritiro dei prodotti in plastica a fine vita, affinché vengano trattati in modo conforme ai regolamenti.

I tentativi di arrivare ad un trattato

Nel marzo 2022 cominciarono finalmente, in sede ONU, i negoziati con l’obiettivo di arrivare ad un Trattato globale sull’inquinamento da plastica, che fosse giuridicamente vincolante per tutti i Paesi membri e ponesse un freno alla dispersione nell’ambiente di questi materiali nocivi, in primo luogo mediante la riduzione della produzione di oggetti in plastica e la loro sostituzione con altri materiali.

Se da un lato un vasto schieramento di un centinaio di Paesi – in testa i 27 dell’Unione Europea – premeva per l’approvazione del trattato, emerse subito però anche una forte resistenza da parte di un ristretto numero di Paesi, produttori di idrocarburi, cioè petrolio e gas naturale (le materie prime da cui si ricavano i polimeri che costituiscono le innumerevoli materie plastiche), e delle plastiche stesse. 

Il fronte degli oppositori del trattato, e soprattutto del suo carattere vincolante, è rappresentato principalmente dai governi di Arabia Saudita, Iran, Russia e Stati Uniti, con il sostegno anche della Cina (primo produttore mondiale di plastica), dell’India e del Brasile. Governi che si fanno quindi interpreti degli interessi non soltanto dei produttori di idrocarburi, ma anche della petrolchimica, dei grandi utilizzatori di contenitori in plastica, nonché dei giganti del tessile sintetico e della fast-fashion. 

Dopo cinque sessioni inconcludenti di negoziati, anche la sesta – tenutasi alla metà di agosto 2025 a Ginevra – si è conclusa con un nulla di fatto. 

E ora?

Dopo il fallimento della sessione ginevrina dei negoziati sul trattato, i Paesi che ne sostenevano l’urgenza stanno valutando le possibilità di riprendere l’iniziativa, ipotizzando da un lato una modifica delle regole in base alle quali prendere le decisioni (non più “per consenso”, ma a maggioranza dei favorevoli), dall’altro un possibile trattato multilaterale – al di fuori del quadro ONU – tra i Paesi che vogliano aderirvi.

Nulla è per ora deciso in merito a date e luogo per eventuali futuri negoziati, ma alcuni governi intravvedono spiragli per una riapertura del dialogo anche con Paesi “refrattari”: per esempio la Cina, la cui posizione si era evoluta, nel corso della sessione ginevrina, rispetto alla rigidità iniziale.

Intanto però qualcosa nella direzione giusta possono comunque fare anche i semplici cittadini/consumatori, come alcuni fanno già. Per esempio:

– evitare l’uso di acqua in bottiglie di plastica laddove (è il caso di Trieste) quella fornita dall’acquedotto è di qualità ottima ed esistono – anche se dovrebbero essere incrementate… – le “casette dell’’acqua” collocate dal Comune

– preferire detersivi e detergenti sfusi, riutilizzando più volte i contenitori

– scegliere prodotti come frutta, verdura, pasta, yogurt, ecc. in confezioni di carta e cartoncino anziché in plastica

– soprattutto premere sia sugli amministratori locali, affinché sostengano concretamente le buone pratiche ed i comportamenti rispettosi dell’ambiente, sia sui rappresentanti a livello parlamentare e di governo, affinché operino per la ripresa dei negoziati per un trattato sulla limitazione della produzione delle plastiche.

Dario Predonzan

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