Le storie raccontate nell’Iliade e Odissea vivono nel mito ed è facile dimenticare che la loro geografia non è mai stata una certezza scientifica. Come ha osservato Claudio Cerreti, professore ordinario di Discipline geografiche all’Università Roma Tre, quella geografia è una tradizione «non scientificamente provata, ma radicata e quasi connaturata alla nostra cultura, al punto da rappresentare l’unica, ma formidabile, resistenza contro qualsiasi ipotesi divergente».
Felice Vinci, ingegnere e saggista, è tra coloro che hanno osato mettere in discussione quella tradizione. Autore dei volumi I segreti di Omero nel Baltico e I misteri delle civiltà megalitiche, propone una rilettura delle origini della civiltà greca: secondo le sue ricerche, il vero teatro delle vicende di Odisseo e degli Achei non sarebbe il Mediterraneo, ma l’Europa del Nord.
Abbiamo incontrato Felice Vinci a Trieste, in occasione della presentazione del suo libro al Caffè San Marco, mercoledì 28 maggio, e al festival èStoria, a Gorizia.


Come è nata la sua passione per Omero?
La mia passione è nata a sette anni, all’epoca della prima comunione. La mia maestra, a cui ero molto affezionato, mi regalò un libro: Storie della storia del mondo di Laura Orvieto. Raccontava la storia della guerra di Achille e dell’Odissea, narrata da una madre ai suoi due bambini. Questo racconto della guerra di Troia è un piccolo gioiello; l’ho imparato quasi a memoria. Ettore, Achille, Ulisse… per me erano personaggi familiari.
Cosa l’ha spinta a riconsiderare la geografia dei poemi omerici?
Sembrerà strano ma le mie vicende omeriche sono un fallout di Chernobyl. Ero un ingegnere nucleare dell’Enel, sono stato uno di quelli che hanno avviato la centrale nucleare di Caorso; dopo l’incidente, il programma nucleare italiano è stato messo in pausa, e io e i miei colleghi abbiamo avuto meno pressione. Questo mi ha permesso di riprendere in mano i classici.
C’è stato quindi un momento preciso o un’epifania che ha messo in moto i suoi studi sulla ambientazione dell’Iliade e Odissea?
A più di quarant’anni, da professionista abituato a risolvere problemi concreti, leggendo i poemi omerici mi sono accorto di alcune discrepanze.
Per esempio, nell’Odissea, Telemaco e un amico vanno da Pilo a Sparta in un attimo, correndo su una pianura ferace di grano. Ma il Peloponneso è montuoso, con una catena montuosa di 2000 m tra Pilo e Sparta, distanti oltre 100 km. È come andare da La Spezia a Rimini attraversando l’Appennino su una pianura.
Ma l’illuminazione è stata un passo di Plutarco, dove descrive la geografia dell’isola Ogigia, luogo in cui Ulisse fu prigioniero prima di tornare a Itaca, «… a cinque giorni di navigazione dalla Britannia, in direzione occidente».
Seguendo le descrizioni dettagliate di Omero sul ritorno di Ulisse, ho ricostruito il percorso. Ulisse parte da una delle Faroe (vicino al Monte Høgoyggj, che richiama Ogigia). Dopo un lungo viaggio, vede le coste innalzarsi come uno scudo nel mare nebbioso: sono i fiordi norvegesi. Il vento di Borea lo spinge verso sud, e la costa norvegese, nella zona dei fiordi, va da nord a sud. Nella Norvegia meridionale, il primo fiume a sud dei fiordi si chiama Figgjo, corrispondente ai luoghi di origine Feaci. Sono stati ritrovati in quei luoghi resti dell’età del Bronzo. Si può ritrovare la zona della mitica città dei Feaci, la foce del fiume dove Ulisse incontra Nausicaa. Da lì, un breve viaggio lo porta all’arcipelago di Itaca, che è uno dei pezzi forti della mia dimostrazione.
Può spiegare in sintesi la sua teoria sull’origine nordica dell’Iliade e dell’Odissea?
Tutte le incongruenze della geografia omerica si risolvono spostando lo scenario dell’Iliade e dell’Odissea dal Mediterraneo all’Europa settentrionale. In quest’area fioriva una splendida età del bronzo, che presenta sorprendenti affinità con la civiltà micenea. Secondo le mie ricerche, il mondo degli Achei omerici affonda le sue radici nel Baltico. È lì che queste popolazioni vissero e combatterono, creando una civiltà avanzata che può essere considerata l’antenata di quella greca classica. Le loro storie, tramandate oralmente per secoli e trascritte solo molto tempo dopo, narrano eventi che ebbero luogo in un contesto nordico. Una volta migrati verso sud, gli Achei avrebbero rinominato luoghi e città del Mediterraneo con i nomi delle terre d’origine. Questo spiegherebbe la straordinaria corrispondenza toponomastica tra la mitologia greca e le regioni dell’Europa settentrionale.
Quali sono le prove principali che sostengono l’ipotesi?
L’arcipelago danese del Sud Fionia corrisponde straordinariamente alle descrizioni di Omero su Itaca. L’Odissea dice che Itaca è la più occidentale dell’arcipelago con tre isole maggiori: Dulichio (“isola lunga”), Same e Zacinto. L’Itaca greca non corrisponde, ma nel Sud Fionia un’isola si chiama Langaland (“isola lunga” in danese) ed è la più occidentale. L’ho visitata in bicicletta, la sua topografia corrisponde a quella di Itaca.
Un’altra prova riguarda i pretendenti di Penelope, che vengono enumerati da Omero: 52 da Dulichio, 24 da Same, 20 da Zacinto. Ho confrontato il numero dei pretendenti con le superfici delle isole e il risultato è stata una strana corrispondenza aritmetica.
Il Sud Fionia è l’unico arcipelago al mondo che corrisponde esattamente a tutte le indicazioni omeriche.
La mia localizzazione di Troia è invece una cittadina finlandese, Toija, a 100 km ovest di Helsinki, dove ho trovato il luogo esatto per le prime ricerche poco costose. Nessuno però vuole farle. Fino a poco tempo fa si riteneva che nel Nord Europa non ci fossero insediamenti preistorici consistenti, ma recentemente in Norvegia è stato trovato un grosso centro preistorico risalente a prima del 2000 a.C.
Ci sono moltissime altre prove nel mio libro di cinquecento pagine.
Come ha reagito inizialmente il mondo accademico?
Inizialmente il mondo accademico ha mostrato interesse e curiosità. La prima edizione del mio libro è finita nelle mani di Rosa Calzecchi Onesti, che oggi non è più con noi, professoressa all’università Cattolica e grande traduttrice dell’Iliade e dell’Odissea. Ne è rimasta molto colpita e ha scritto la prefazione del libro. Dopo, sono cominciate le traduzioni all’estero, otto finora. Sono stato persino invitato da un’università canadese a Vancouver a presentare la mia teoria.
Nel 2012, durante un convegno organizzato a Pavia da un mio amico latinista che ha sempre sostenuto la mia teoria, incontrai il responsabile della Rivista di Cultura Classica e Medievale. L’interesse fu immediato: pochi mesi dopo, la rivista decise di dedicarle un numero monografico. Nel 2013 pubblicarono un volume di 350 pagine, di cui 100 scritte da me, interamente riservata alla mia proposta interpretativa.
In generale però, il libro, a livello accademico in Italia e nel resto del mondo, è stato considerato con poco interesse dalla maggioranza degli ellenisti.
Se la sua teoria fosse accettata, cosa cambierebbe nel modo in cui concepiamo le origini della civiltà europea?
Troia e il suo mondo finora sono stati considerati a metà tra realtà e mito. Le contraddizioni geografiche in Omero sono un problema, non solo dal punto di vista spaziale, ma anche temporale, perché finora Omero non è riuscito a essere collocato temporaneamente né nell’età micenea, né in un periodo arcaico successivo, né nel mondo classico. Lo dicono tutti gli studiosi: fluttuano nel mito, nel paese di chissà dove, nel tempo di chissà quando. Se invece venisse provata, l’Iliade e l’Odissea rappresenterebbero l’idea che in Europa abbiamo un antenato comune, una civiltà comune preistorica, e quindi saremmo tutti uniti tutti sotto il nome di Omero.
Circola una teoria secondo cui Omero fosse tanti narratori non uno solo, lei cosa ne pensa?
Sono convinto che chi ha scritto l’Odissea sia una persona diversa da chi ha scritto l’Iliade. Se ne avessi occasione, li riconoscerei parlando cinque minuti con l’uno e con l’altro.
Uno, probabilmente, era un medico militare molto rigoroso. Infatti, c’è il passo in cui Patroclo ha un malore in campo di battaglia, gli cade lo scudo, rimane disarmato, “gli girarono gli occhi all’indietro”, e rimane bloccato, in piedi, senza potersi muovere. In quell’attimo viene colpito. Mia moglie, medico, mi ha detto che solo uno scrittore che è anche un medico può fare delle descrizioni così.
L’altro invece era un poeta di corte che si divertiva a inventare e costruire belle storie. Partiva da uno scenario reale, ma ambientando scene favolose e fantastiche in posti reali.
Sta lavorando a nuovi progetti editoriali o di divulgazione?
Adesso mi sto occupando di presentare il secondo libro I misteri della civiltà megalitica. Storie della preistoria del mondo (2023, Leg Edizioni)
Leggendo Omero, mi sono accorto che c’è un mondo mitico anche per lui. Per fare un esempio, sullo scudo di Achille c’è l’immagine della Gorgone Medusa. Questo vuol dire che per il mondo degli Achei omerici c’era un mondo ancora precedente nell’estremo Nord Europa, che era una civiltà artica.
Questa idea è stata ispirata da Tilak, un bramino indiano della fine dell’Ottocento che sosteneva che la civiltà indiana fosse più antica di quella europea. In un anno ha scritto La dimora artica nei Veda, dimostrando che gli antichi Indiani (e Arii) venivano da una terra subpolare. I Veda mostrano chiaramente un periodo di sole di mezzanotte e una notte perenne. Cose che si ritrovano anche in Omero.
Ho fatto questa connessione con la civiltà megalitica, attestata attorno a Carnac, in Francia, il più antico megalitico europeo, risalente a circa 5000 a.C.
Come società, quella megalitica era molto votata alla navigazione e tra il 7-8000 e il 2500-3000 a.C., le temperature terrestri erano molto più alte e il mondo era abitabile fino all’estremo nord. Poi, il clima è cambiato, le popolazioni hanno iniziato a spostarsi. Ho ipotizzato che gli Indoeuropei, i Greci, siano scesi dall’estremo nord del Baltico, dove hanno combattuto la guerra di Troia (fase due). Poi, secondo me, ci fu un altro raffreddamento più breve attorno al 1600 a.C., dovuto all’esplosione di Santorini che ha portato freddo e gelo. Per 2-3 anni, come dopo il Tambora.
Che messaggio finale darebbe a chi studia l’Iliade e l’Odissea oggi?
Bella domanda. Direi che l’Iliade e l’Odissea rappresentano il fatto che l’umanità, al di là degli uomini, delle generazioni, dei tempi, ha comunque un suo sottofondo uguale per tutti. È il nostro compito ritrovare questo per ritrovare poi noi stessi, il modo di accettare le sfide del nostro tempo. E di basare le nostre idee anche sulle radici che noi abbiamo, le radici più profonde.