Non passa giorno senza che ci siano altalenanti notizie sull’economia e sul suo stato di salute. C’è molta confusione ed è difficile raccapezzarsi. La Fiat si accorda con la Chrysler e il titolo crolla. Il governo ostenta ottimismo, ma la cassa integrazione sta salendo e molti temono per l’occupazione, oltre che per il potere d’acquisto, il welfare, la tenuta sociale.
Nessuno ci sta dicendo che se la crisi dovesse essere lunga, dolorosa, devastante il problema potrebbe essere acuito dal fatto che abbiamo già un settore in crisi che l’agricoltura. Purtroppo ai piagnistei degli agricoltori siamo abituati e diamo comunque per scontato che domani, al supermercato, troveremo la verdura, la frutta, la pasta, il riso e quant’altro serve al nostro sostentamento. Vero come sorgerà il sole?
Sicuri? Solo una cosa è sicura e cioè che anche al fondo di una crisi nerissima quel giorno dovremo mangiare anche, perché ciò è una necessità primaria dell’uomo e chi la deve soddisfare è il settore, per l’appunto denominato, primario che è quello agricola.
Vediamo alcuni punti essenziali. Primo: le produzioni agricole friulane sono sbilanciate su mais e vino, che non sono essenziali. Sono deficitarie le produzioni di ortaggi (90%) e di frumento per pane (40%), si salva la frutta, potrebbero bastare latte e derivati. Secondo: abbiamo un modello scientifico errato e non in grado di portarci fuori dal guado in quanto, essendo autoreferenziale, non ammette ripensamenti né accetta consigli da noi poveri stupidi che pratichiamo un’agricoltura libera dai loro condizionamenti. La prova è che se il modello fosse scientifico, e dunque vero, l’agricoltura non dovrebbe essere in crisi!
Il problema di fondo è che si continua a perpetuare una sudditanza a due fattori produttivi esteri: il petrolio ed i semi.
Non voglio addentrarmi in disamine di politica estera, ma sia i derivati del petrolio (concimi, fitofarmaci, diserbanti ecc.) che soprattutto i semi oggi sono prodotti dalle grandi multinazionali nordamericane o loro controllate. Le congetture del perché le lascio a voi, tenendo per me la conclusione che se noi friulani non siamo capaci di produrre le derrate ed i seri senza questi gioghi, e dunque arrivare alla sovranità alimentare, non solo sarebbe in gioco la nostra libertà ma persino la nostra sopravvivenza.
Non sto scherzando, perché ho abbandonato questa logica quando il mais valeva 32.500 E al quintale e dunque quasi trent’anni fa. Oggi come oggi la stragrande maggioranza dei produttori agricoli nostrani farebbe fatica a sfamare le proprie famiglie e la responsabilità di questa crisi è un po di tutti, ma in primo luogo di chi non crede possa esistere un’alternativa costituita dall’agricoltura biologica avanzata e, dall’alto delle loro cattedre ostacolano ogni possibile positiva evoluzione. L’agricoltura biologica ha elaborato una via di indipendenza e innovazione da diverso tempo. Prima ponendosi l’obiettivo delle compatibilità,
poi, col metodo biodinamico, con l’evoluzione della qualità alimentare ed infine conseguendo spazi di libertà con la possibilità di produrre sementi attraverso l’omeopatia applicata ai vegetali ed al terreno. Abbiamo offerto il nostro sapere anche a chi ci ha detto che non siamo “scientifici, in quanto non era in grado di capirci e non si capacitava di come si potesse produrre piante sane senza chimica… ma siamo ancora qua, con pazienza, a disposizione. Speriamo prevalga il buon senso e si riconosca che a primo passo da fare è quello di metterci alla prova dando pari dignità alla nostra ricerca, anche nella eventuale sciagurata introduzione degli OGM. Con quella scelta
L’agricoltura friulana raggiungerebbe il traguardo finale del suo imbarbarimento buttando la sua libertà per accontentare i piantamais nostrani. Noi continueremo a coltivare bio e, amando e rispettando la nostra Terra, saremo certi di ottenere in cambio il dono della sopravvivenza
Graziano Ganzit
tratto da Konrad n. 143 di febbraio 2009