«Siamo in Iran. Istintivamente mi faccio il segno della croce, e sento l’amichevole stretta dell’autista che mi dice: “Allora, signor capitano, ormai è fuori dal paradiso”».
Il capitano polacco Józef Czapski, autore de La Terra Inumana (Milano, Adelphi, 2023), era stato arrestato dai sovietici nel settembre del 1939 mentre combatteva contro i tedeschi, alleati dei russi dopo il patto Molotov-Ribbentrop e la spartizione della Polonia tra le due potenze.
Con la successiva invasione tedesca dell’Unione Sovietica del 1941, i rapporti diplomatici russo-polacchi furono ripristinati e si iniziò a costituire in Russia, in seguito all’accordo fra Stalin e il generale polacco Sikorski, un’armata polacca agli ordini del generale Anders, formata da ex prigionieri rimessi in libertà. Anche Czapski venne liberato e gli fu affidato il compito di dirigere l’Ufficio ricerche dispersi. «Quindicimila prigionieri (ottomila dei quali ufficiali) erano spariti senza lasciar traccia».
L’autore contatterà i vertici del Gulag e dell’NKVD (il commissariato del popolo per gli Affari interni guidato da Berija), viaggerà per tutta la Russia incontrando gente comune, funzionari, ex prigionieri, continuerà la ricerche fino all’aprile del 1942, quando fu trasferito ad altro incarico, ma non riuscirà a trovare gli scomparsi.
Nel 1943 i tedeschi annunciarono la scoperta di fosse comuni nella foresta nelle vicinanze del villaggio di Katin’, nell’oblast’ di Smolensk. Erano stati catturati, come Czapski, nel settembre 1939 ed eliminati l’anno dopo. Soltanto nel 1990 i sovietici ammisero la responsabilità dell’eccidio. Czapski tra il 1942 e il 1947 scrive le sue memorie (verranno pubblicate a Parigi nel 1949).
«Questo libro non offre conclusioni né sintesi, è semplicemente il racconto di un anno di esperienze, osservazioni e pensieri di un polacco in Unione Sovietica».
Furono un milione e mezzo i cittadini polacchi deportati in Russia con bambini che morivano durante i trasferimenti, donne abbandonate nella steppa, soldati sfruttati come schiavi nei gulag più remoti.
Dopo due anni di prigionia in diversi campi di detenzione iniziarono ad arrivare al campo di raccolta polacco migliaia di ex detenuti, laceri, cenciosi, alcuni senza scarpe, distrutti dalle torture e dal lavoro, con tanti compagni morti durante il tragitto. «Quei pochi mesi di lavoro…furono una lenta, quotidiana iniziazione all’immensità della miseria umana, compiuta ascoltando le tante storie di famiglie divise, di bambini dispersi o morti di fame, di compagni scomparsi a migliaia tra gli stenti e nelle miniere».
Dopo i campi di prigionia con i detenuti trattati peggio delle bestie, dopo le brutalità patite in Unione Sovietica, Józef Czapski finalmente fuori, dopo tre anni, dai confini della terra inumana, entra in Iran. L’armata polacca inizierà una nuova peregrinazione attraverso l’Iraq, la Palestina, l’Egitto fino all’Italia e la battaglia di Montecassino.
Giuliano Prandini