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Arte e storia Culture

Un connubio di arte e natura. Le sculture di Robin Soave. Forme che esprimono l’energia propria della materia

– di Fabiana Salvador –

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A Prosecco, in Carso, dietro al monumento ai Caduti, accanto al cimitero austroungarico, un’ampia spianata è un parco scultoreo, un laboratorio artistico a cielo aperto di 10.000 metri quadrati. Nel verde, fra autoctoni fiori spontanei  di straordinaria rarità, le opere in pietra d’Aurisina di Robin Soave (Švab in origine), testimoniano l’essenza di un territorio e di una cultura ben radicati. Suo nonno fu scalpellino e suo papà falegname. Manualità, conoscenza tattile e senso materico li apprende da piccolo, come pure il significato di un lavoro faticoso e per nulla semplice. Un pezzo di terra a disposizione, il sogno di farne un giorno qualcosa di determinante per la propria vita. Un progetto realizzato e in divenire.

Robin si avvicina alla scultura nel 1988. Dal 1990 al 1994 segue i corsi antroposofici steineriani di scultura di Francesco Grazioli a Venezia. Nel 1991 fonda il gruppo GK 72 con il quale tiene dei corsi di scultura annuali fino al 2000. Dal 1994 partecipa a più di cinquanta simposi internazionali di scultura su pietra e legno. Nel 1998 vince il Premio “L. Caravan” per le arti figurative a Trieste. Dal 2000 lavora anche su committenza pubblica e privata. Nel parco ospita “Atelier di scultura”, durante i quali gli scultori invitati lavorano insieme, dando la possibilità al pubblico di seguire e capire la scultura. Predilige lavorare il marmo e la pietra. Con il legno elabora pezzi che si avvicinano alla scultura-design; realizza opere in fusioni di bronzo, alluminio, piombo. Dal 2005 è docente di scultura per ragazzi dai 12 ai 18 anni presso enti statali ed associazioni culturali.

Nel giugno 2002 la sua prima grande mostra personale nel parco: “L’uomo”, ovvero il processo dell’uomo nei vari stadi evolutivi: dai primi ominidi al raggiungimento della posizione eretta. 35 lavori bianchissimi, alcuni dei quali ancora presenti in sito. Forme astratte; forme sinuosamente allungate; forme tondeggianti che si espandono verso il suolo; forme a blocco con rigonfio superiore a suggerire la testa e fondo stondato per favorire una mobilità oscillante. Ricordano le avanguardie di Arp e Brancusi, Viani e Moore, le grandi esperienze plastiche del secolo scorso, in un confronto imprescindibile che nobilita il dialogo con il blocco grezzo estratto dalla cava.

Finezza estrema nelle sue opere, alla quale contrappone realizzazioni più ruvide, pulsanti di vibrazioni rese volutamente dal “non finito”, uscite dalla natura e più vicine a essa, in un confronto che si rinnova dopo la metamorfosi realizzata dall’artista. Figure antropologiche. Figure dei boschi. Opere che si adattano all’ambiente mimetizzandosi, che possono essere scorte e realizzate solo da chi, la natura, ama profondamente. Non monumenti che dominano lo spazio, ma forme che lo assorbono ed esprimono l’energia propria della materia.

L’ultimo lavoro importante, “Natività”, è una testa di bambino scolpita su una roccia, esposta di recente a Terzo d’Aquileia. Un vero e proprio virtuosismo tecnico applicato a una materia rara, l’alabastro del Carso (o stalattite). Originariamente della dimensione di cinque metri cubi, il blocco è stato estratto secondo un procedimento non più praticato in regione. Le ultime cave in provincia di Trieste, a Bristie, Samatorza e San Pelagio, sono inattive. Un’acquisizione del passato rimasta nel parco a lungo e in sospeso fino a qualche anno fa, quando l’artista maturo decide di metterci mano realizzando in grande un’idea nata 25 anni prima, come esercizio scolastico di un volume convesso. Una concrezione calcarea dalle peculiari caratteristiche cromatiche; striature in diagonale che l’artista valorizza facendo emergere la forma più consona e armoniosa della materia. Con rispetto. Un pezzo di natura e storia, memoria e anima di un territorio.

 

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