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Carso problematico

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Si rosolano fronte/retro sulle sabbie dorate del FVG. O vanno a gustare lo splendore di Aquileia. Qualcuno però si spinge più avanti e scopre la “scontrosa grazia” di una città incorniciata daverde alle spalle e un brandello d’Adriatico ai piedi.

Il mare è pulito, nonostante l’andirivieni senza fine di greggio imprigionato nei doppi scafi. Il Carso è in alto, altero, silenzioso.Lo si può solo intuire.

Nelle giornate festive di sole, da aprile a novembre, il turista è padrone del centro e forse pensa che gli abitanti siano evaporati. Al mare? Oppure?

Il Carso, il turista lo conosce poco. Semmai, ne ha sentito parlare come teatro di un massacro dissennato di un secolo fa. O di altre infamie, più recenti, di cui si parla talvolta in modo distorto o incompleto. 

Al mare pare che i triestini non ci vadano mai. Loro vanno “al bagno”, cosa che i turisti fanno per necessità e non per diletto. La tintarella però mette in sospetto. E infatti basta poco per trovare una buona frazione dei mancanti all’appello. Nel tragitto verso l’immancabile Miramare, il turista si accorge che è buttata lì, sul lungo nastro dove soffrono le tamerici, i lecci e gli oleandri. Tra lo sciacquio del mare, l’insistente rumore della strada e qualche inevitabile disagio da sovraffollamento.

Ma non tutti sono lì. Per i triestini il Carso è un forte richiamo, intutte le stagioni. Per gli agriturismi e le osmize, beninteso, ma anche come luogo per gite, relax, jogging, far sgambettare il cane. In Carso c’è lo stesso sole che fonde l’asfalto di Barcola e maggiore pace. Ma anche inconvenienti, e non da poco.

I problemi non li danno le poche famiglie dei nuovi inquilini, gli sciacalli dorati, discreti, vittime spesso di oggetti sconosciuti, rumorosi, veloci, guidati da umani talvolta distratti o aggressivi.

Né gli ispidi cinghiali. Vedere famiglie con individui di tutte le taglie dovrebbe suscitare più ilarità che apprensione. Scoperti, in fretta se ne vanno, guardando a turno, di sottecchi, il gitante. I loro grugniti intermittenti sembrano dire: “Corri, non girarti, che non ci veda…” E via senza scalpiccio, come gli hobbit di Tolkien. 

Sul Carso, almeno su quello triestino, è l’uomo a creare qualche problema.

Alcuni sentieri sembrano strade di un lager. Non ci sono baracche con reclusi né guardie armate, però ci sono reticolati, talvolta su entrambi i lati. Alberi, fiori, radure, devi guardarli da lontano. E avanti, facendo attenzione al filo spinato. Che in alcune zone, ahimè, blocca anche il sentiero numerato.

Ampi tratti di landa sono confinati poi da filo elettrico,insuperabile dagli animali al pascolo. Ma anche dagli umani, dissuasi da cartelli con cui il gestore degli animali “declina ogni responsabilità”.

Una riserva naturale è compatibile con queste recinzioni? Per le Autorità preposte è tutto regolare. Qualcuno dubita però che i decisori abbiano visto i reticolati di traverso ai sentieri. 

Dove strade sterrate soppiantano i sentieri, ecco altre difficoltà per te e per il tuo bambino, che vorrebbe lasciare la tua mano e provare i suoi primi equilibri sulle irregolarità del calcare. Con poco preavviso saettano, schizzando sassi all’intorno, robustemountain-bike, vere minacce all’altrui incolumità, perché la necessaria prudenza talora latita. 

E non è finita. Le doppiette sono autorizzate dappertutto. Talvolta, inattese, sparano anche gomito a gomito con il gitante. Lo posso testimoniare. Incidenti, anche gravi, accadono. Ma le normepermissive permangono. Potenza delle lobby.

Dove prudenza e buon senso scarseggiano, dovrebbe intervenire l’Autorità competente con una rivisitazione, qui doverosa ed urgente, di alcune norme ed autorizzazioni. Non per restringere, ma per allargare i confini della libertà e della sicurezza, che sono per tutti o non sono. Prima che dalla geniale sintesi di Saba una delle due parole, la grazia, si dilegui da Trieste.

Franco Delben

In copertina: Fulvio Bacchia, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons

Tratto da Konrad 241 di aprile 2025

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