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Dall’archivio di Konrad: SCATOLE NERE

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Linguaggio e pensiero sono da sempre strettamente intrecciati. Senza il pensiero certamente non ci sarebbe il linguaggio. Ma non è detto che sia vero anche l’inverso, ovvero che senza linguaggio non ci possa essere pensiero. Il filosofo René Descartes ad esempio negava che gli animali potessero pensare o provare alcunché, poiché “non possiedono un linguaggio simile a quello dell’uomo”. Su questa scia c’è chi – seriamente – ha negato il pensiero nei neonati, poiché privi di parola, nonché nei popoli cosiddetti primitivi “.

Al di là di queste follie è certo che il linguaggio può “tornare indietro”, condizionandoci e plasmando il nostro stesso pensiero. Prendiamo una funzione fondamentale della nostra mente come la generalizzazione.

Generalizziamo ad esempio quando diciamo “ho mangiato una mela”. Non diciamo se abbiamo mangiato una Golden o una Stark, non diciamo se era una mela raccolta dall’albero o comprata in botteghino, non diciamo se la sua buccia era opaca e raggrinzita oppure liscia e brillante, non diciamo se era dolce o aspra.
Lasciamo che sia il nostro ascoltatore a farsene un’idea più precisa — ammesso che gli interessi farlo. A meno che i due interlocutori non siano dei veri melomani (non è cosi che si chiamano gli amanti delle mele, ma ci siamo capiti) nella maggior parte dei casi la frase andrà bene cosi. Ricorre spesso nella poesia e nella filosofia l’idea che molte cose della vita siano indescrivibili, come i tramonti, le rose, l’amore, i baci. Oppure occorrerebbe usare frasi lunghe come romanzi anche per raccontare un solo attimo. Ma il tempo è tiranno e non possiamo perderci negli infiniti labirinti di ogni descrizione, cosi ci rassegniamo a pronunciare delle parole che non sono altro che la scrittura stenografica della realtà. E come mettessimo le caratteristiche di ogni cosa in una sorta di “scatola nera” e ne prendessimo in considerazione solo l’etichetta, ovvero il suo nome. Un’operazione che, come abbiamo appena visto, è fisiologica e funzionale per quanto riguarda la comunicazione tra esseri umani.


Ma vi sono “scatole nere” ben più insidiose. Alcune di esse possono ad esempio nascondere la nostra immensa ignoranza sulle cose del mondo. Consideriamo la parola “caso”, termine che incontriamo in ambito scientifico ma anche nella vita di ogni giorno. Cosa intendiamo quando, lanciando una moneta, diciamo che è il caso a far uscire testa oppure croce? Vuol dire semplicemente che non abbiamo tempo, voglia né possibilità di andare ad analizzare ogni giravolta. Che fa la moneta nell’aria, ogni rimbalzo, la spinta e l’angolazione del lancio… Diciamo “il caso” e ce ne laviamo le mani. Se esaminassimo con precisione ognuno dei fattori sopraccitati, il nostro “caso” sparirebbe, sciogliendosi come neve al sole. Come esercizio d’ora in avanti fate caso a tuti i casi in cui per caso vi capita la parola caso.

In campo medico una ben nota scatola nera è il cosiddetto “effetto placebo”, ovvero quando somministrando un farmaco privo di principi attivi il paziente ne trae beneficio. In realtà dire che qualcuno e guarito grazie all’effetto placebo significa che non abbiamo idea di che cosa sia successo all’interno del suo corpo.

Parlando di animali si usa spesso il termine “istinto”. Gli uccelli migrano per migliaia di chilometri, senza che nessuno gli abbia insegnato la strada? Istinto.
Api, formiche e termiti sanno costruire nidi di estrema perfezione e complessità?
Istinto. Il nostro gatto quando ha qualche disturbo corre a prendere l’erba gatta?

Istinto. Una perfetta non- risposta che dà un falso alone di miracolo e di mistero al comportamento animale, negando la possibilità di un qualche tipo di “ragionamento animale” o di “cultura animale” e, che paradossalmente , non rende merito dei veri miracoli della vita.

Vi sono scatole nere ancor più pericolose: sono le scatole nere del pregiudizio, dell’odio e dell’indifferenza.

È cosi ad esempio che colonialisti e razzisti di ogni epoca hanno commesso i loro crimini etichettando milioni di individui come “neri” o come “selvaggi”: è cosi che spesso, ancora oggi, una parola di per sé innocua e neutra come “omosessuale”, che dovrebbe essere qualcosa di marginale, di periferico rispetto all’individuo nella sua interezza viene ingigantita e utilizzata come un’etichetta, mentre la persona che abbiamo davanti, con le sue mille sfaccettature e peculiarità, viene chiusa e nascosta in una scatola nera.

Troviamo questa dinamica in varie situazioni, come nell’uso malizioso di certi soprannomi (il classico compagno “ciccione” di scolastica memoria), nei soliti triti e noiosi cliché sessisti, nei pregiudizi verso altri popoli.

E così che l’etichettatura e l’inscatolamento delle persone sono le principali alleate di ogni violenza e di ogni sopruso. Questo perché è solo distanziandoci dall’altro, negandone la sua individualità, non guardandolo davvero in faccia che possiamo fargli del male.
Non ci resta che rompere tutte queste brutte scatole nere e buttarle nella raccolta differenziata.

Francesco Gidic

bizzarro@bazardelbizzarro.net

www.bazardelbizzarro.net

tratto da Konrad numero 184 di Marzo 2013

Dall’archivio di Konrad: SCATOLE NERE

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