La tesi di Felice Vinci è chiara: le vicende narrate nei poemi Iliade e Odissea si sarebbero svolte non nel bacino del Mediterraneo, ma molto più a nord, nel bacino del Mar Baltico e dintorni.
Vinci è un ingegnere nucleare di Roma, e viene spontaneo chiedersi come mai abbia tirato fuori questa storia uno che non è del mestiere, e quali elementi abbia per proporre la sua tesi.
Anche se, dopo il liceo classico, ha compiuto studi tecnici e ha lavorato in un settore lontano da storia, letteratura e archeologia, Vinci è sempre stato un appassionato cultore della classicità. A forza di leggere autori latini e greci, ha trovato diversi elementi che gli hanno suggerito questa tesi. Ad es., lo storico Plutarco dà un’indicazione sorprendente: l’isola Ogigia, nella quale Calipso avrebbe tenuto prigioniero Ulisse per anni, si troverebbe a nord di quelle che oggi conosciamo come Isole Britanniche, e precisamente nell’arcipelago oggi denominato Fær Øer.
Guarda caso, in una delle isole di quell’arcipelago si trova un’altura il cui nome è simile a quello di Ogigia. Va ricordato che la localizzazione di Ogigia è da sempre oggetto di discussioni inconcludenti da parte degli studiosi, che la cercano nel Mediterraneo.
Ancora più sorprendente è il fatto che Calipso, rassegnatasi finalmente a liberare Ulisse, indichi all’eroe la direzione per la terraferma, quanto durerà il suo viaggio e quali coste troverà all’arrivo. Ulisse, con il vento favorevole da ovest, raggiunge nel tempo previsto le coste dell’attuale Norvegia, alte e frastagliate, come gliele aveva descritte Calipso.
Seguendo via via le successive avventure, i riscontri scandinavi sono a dir poco strabilianti, mentre sono un rebus inestricabile le localizzazioni nel Mediterraneo. Se ai racconti dell’Odissea aggiungiamo le descrizioni dell’Iliade, l’ambientazione nordica torna in modo incredibile: dalla localizzazione dell’isola di Faro all’esistenza dell’introvabile (nel Mediterraneo) “Isola Lunga”, dall’arcipelago di cui farebbe parte l’isola di Itaca all’isola pianeggiante (secondo Omero) del Peloponneso, dal “vasto” Ellesponto alla notte così chiara da permettere ai belligeranti di continuare a scannarsi per due giorni senza sosta, dal mare scuro e nebbioso ai guerrieri infreddoliti e con lo scudo ricoperto di ghiaccio. E questi sono solo alcuni dei riscontri, spettacolari, ma forse nemmeno i più importanti.
Come hanno accolto tali studiosi la tesi di Vinci? I primi commenti sono stati per lo più di scetticismo e di stizza: come si permette, uno che non è del campo, di proporre una tesi che a noi non è mai venuta in mente? In realtà, in modo umile e razionale Vinci ripete che la sua è una tesi ancora senza dimostrazione definitiva (che potrebbe venire, per esempio, da ulteriori scoperte archeologiche).
Da diversi anni, molti studiosi hanno preso in seria considerazione la tesi e la stanno valutando in modo scientifico. Sull’argomento c’è oggi un dibattito piuttosto vivace, con sostenitori e detrattori, di cui si può trovare ampia traccia anche in rete.
Il testo di Vinci, Omero nel Baltico, tradotto in inglese, è stato adottato come libro di testo dal Bard College di New York. Nel 2013, la prestigiosa Rivista di Cultura Classica e Medioevale ha dedicato all’argomento l’intero n. 2, con una quindicina di articoli in italiano e in inglese.
Franco Delben
Tratto da Konrad numero 217 di giugno 2016