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Dall’archivio di Konrad: MORIRE D'AMIANTO
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Dall’archivio di Konrad: MORIRE D’AMIANTO

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L’Odissea di un uomo e della sua famiglia

A Trieste, nel rione di San Luigi, c’è una casetta, col suo minuscolo cortile. Ogni dettaglio narra della cura di un uomo di quelli dei quali si dice che hanno “le mani d’oro”, intento a creare con tale talento ili nido che avrebbe accolto la sua famiglia. Il destino ha voluto che non potesse godere di quanto aveva costruito, né festeggiare con Tina, la compagna di una vita, le tanto attese nozze d’argento.

Roberto è morto a quarantasei anni, dopo aver lottato per tre anni e sette mesi contro il mesotelioma pleurico maligno. Un tumore che non lascia vie di scampo, la cui causa è inequivocabile: l’esposizione all’amianto.

“La nostra odissea inizia dopo una banale influenza nel dicembre del 2004,” racconta Tina, nel salotto della loro casa, costellato di foto dell’amato Roberto.”Mio marito ha un dolore al fianco destro ed una febbricola che non se ne va. ll medico gli prescrive degli antibiotici e una lastra toracica”. Cosi ha inizio per la famiglia Persich un percorso fatto a esami, operazioni, attese e ricoveri. E di tanto dolore.

“Un bravo radiologo, esaminata la lastra, si offre di accompagnare Roberto nel reparto di chirurgia toracica, dove viene visitato e immediatamente ricoverato: un polmone non funziona come deve e c’è un versamento pleurico. Gli vengono fatte ulteriori analisi di tutti i tipi e pochi giorni dopo, ai primi di gennaio del 2005, gli fanno una biopsia.” L’esito è il peggiore: mesotelioma pleurico maligno. Roberto viene operato a Mestre: gli viene tolto un polmone, perché proprio sulla pleura che lo avvolge sta crescendo la malattia. Gli viene asportata una parte di diaframma, i linfonodi, i muscoli, le ghiandole.

Po arriva la chemioterapia: i giorni si susseguono tra debolezza, nausea, vomito e dolori. Roberto non riesce a camminare. I medici, per scongiurare la ricaduta, gli propongono la radioterapia. “Sono stata sempre vicino a lui, giorno e notte” racconta Tina con ali occhi bagnati “e lui, con i suo meraviglioso sorriso, ce la metteva tutta”. I due ragazzi, Luca e Nicole, si sentono smarriti: il loro papa che si era sempre dimostrato attivo e premuroso si sta spegnendo davanti ai loro occhi.

Roberto, per non preoccupare i suo cari, mantiene sempre il sorriso, e pensa a tutti i progetti che potrà realizzare quando sarà guarito, Nessun medico aveva trovato il coraggio di dirgli che il male avrebbe potuto concedergli al massimo qualche anno insieme alla sua famiglia

Gli vengono tolte due costole e viene riaperto il cavo toracico per una fistola bronchiale: si susseguono i ricoveri, gli interventi, i trapianti di muscolo. Nonostante le continue medicazioni a cui deve sottoporsi, i ricoveri e i dolori, Roberto riprende a lavorare, nelle mansioni più leggere che gli vengono affidate. Le medicazioni avvengono prima in ospedale, poi a casa, a cura della moglie. “Abbiamo tentato di chiedere auto alle strutture pubbliche, ma dovevamo fare un elenco di materiali, con codici, numeri, richieste firmate, ecc.” racconta Tina. “Roberto ci rinunciò: «Finché potremo, ci arrangeremo coi nostri mezzi» diceva. Ma Ulisse, come fu soprannominato, prosegui comunque a chiedere aiuti alle istituzioni, più volte, senza successo.”

Le istituzioni non solo si dimostrano distanti, ma gli negano in parcheggio riservato in quanto non portatore di handicap agli arti. Roberto però, privo di un polmone e con una ferita aperta sul fianco, non riusciva più a camminare.

“Forse pensavano potesse respirare con le orecchie?” sussurra indignata Tina. Un avvocato di Roma, Ezio Bonanni viene a conoscenza della situazione tramite Aurelio Pischianz, presidente dell Associazione Esposti all’Amianto di Trieste. Si offre di seguire la loro causa e ancora assiste la famiglia nella vertenza legale per vedere riconosciuto il risarcimento che spetta loro di diritto. “Ci sta aiutando a dare giustizia a Roberto anche ora che non c’è più, a dare al mio compagno la giusta ricompensa per essere stato un uomo onesto, un cittadino modelle, un padre attento e soprattutto un grande lavoratore. Anche se proprio il lavoro l’ha ucciso.”

Arriva infatti il 2008 e la pensione, ma nell’estate dello stesso anno la situazione di Roberto peggiora drammaticamente e lascia i sudi due ragazzi e Tina. Tutto questo racconto straziante, ma tenero per l’amore di Tina e i suoi ragazzi, non ci sarebbe se ci fossimo limitati a raccontare i dati. Se avessimo dovuto fare questo il risultato sarebbe stato:

“Muore per l’amianto l’operaio triestino Roberto Persich, dopo tanti anni nell’officina di un ente pubblico lavorava core meccanico, è mancato per il tumore causato dall’esposizione all’amianto. Lavorava con freni e frizioni, composto appunto del pericoloso materiale. Quando si ammalò rimase più di un anno in infortunio, ma poi, raccolte le forze, tornò a lavorare, occupandosi di mansioni meno faticose. L’Inail gli ha riconosciuto dodici anni di esposizione all’amianto (di cui però soltanto sei utilizzabili ai fini previdenziali) e la malattia professionale. Roberto non ha mai saputo i rischi ai quali si esponeva: operava senza mascherine, senza guanti, e senza alcun presidio se non la sua tuta da lavoro, che, impregnata di polveri, consegnava alla moglie perché la pulisse.
Lei la scuoteva, la lavava con cura, la stirava, ignara dei rischi ai quali lei stessa si stava esponendo con quelle affettuose premure. Oggi Tina chiede giustizia e un risarcimento danni per la sua famiglia. Ha anche pubblicato un sito internet (www.persich.it) la sua storia.”

Ma la storia di Roberto non e solo quella di queste stringate notizie di cronaca.

Agnese Ermacora

tratto da Konrad n. 144 di marzo 2009

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