La vicenda dell’amianto è una delle più drammatiche nella storia del mondo del lavoro del XX secolo. Si è trattato di uno di quelli che Franco Basaglia avrebbe potuto definire “crimini di pace”. Un crimine che si consuma ancora oggi in questa parte del pianeta nella quale l’amianto non è ancora fuorilegge, un crimine che ha messo in evidenza molte contraddizioni: la prima, evidentemente, è la tragica discrepanza temporale tra acquisizione dei dati scientifici sulla nocività/cancerogenicità e scelta di mettere al bando questa “produzione di morte”. Non sono certo mancati ricercatori che hanno denunciato pericoli e preannunciato lutti, ma quando la scienza non si allinea al potere economico viene richiamata all’ordine e boicottata. Alcuni storici menzionano quei singoli ed isolati medici che, nelle città italiane del Seicento, venivano incarcerati e malmenati «per aver dichiarato peste il morbo corrente». La diagnosi di peste ostacolava i commerci ed andava negata, anche a costo della successiva, conseguente e inevitabile più grande strage di esseri umani. Cosi è stata negata questa sorta di moderna peste industriale che è divenuta l’amianto. Così inizia la prefazione a Polvere. Storia e conseguenze dell’uso dell’amianto ai cantieri navali di Monfalcone (A. Morena, 2000, ed. Lavoro & Società).
La lista delle sostanze cancerogene si fa sempre più lunga, ma per dirsi cancerogena una sostanza deve subire una valutazione sperimentale. E per essere valutata sperimentalmente, deve prima essere sospettata da chi ne ipotizza la pericolosità. Spesso tutto inizia dalla cosiddetta esperienza industriale. La storia dell’uso dell’amianto e dei suoi effetti patologici sull’uomo è molto significativa per capire come la necessità di produrre e vendere non tenga conto o minimizzi il più a lungo possibile le conseguenze sulla salute.
Con l’impiego delle macchine a vapore, navi o locomotive, nasce la necessità di disporre di materiale isolante per rivestire caldaie e condutture. I vecchi giacimenti di asbesto di Finlandia, Germania e Italia diventano insufficienti e altro materiale viene ricavato dal Sud Africa e dal Canada. La nocività ancora sconosciuta e le conseguenti inesistenti precauzioni permette che vengano esposti non solo i lavoratori direttamente interessati all’utilizzo dell’amianto, ma anche i loro compagni di lavoro e la popolazione residente.
Le principali attività lavorative sono: l’industria estrattiva, la tessitura dell’asbesto, la produzione di manufatti in cemento-amianto usati in edilizia, la cantieristica navale e la produzione di ferodi per freni e frizioni.
La prima osservazione di una fibrosi polmonare correlata con l’esposizione a polveri di asbesto la fa Mac Murray nel 1907, dopo che lo stesso medico, nel 1898, aveva notato, nell’autopsia di un cardatore in una fabbrica di amianto, profonde alterazioni polmonari di tipo sclerotico. È però solo nel 1930 che l’asbestosi comincia ad essere considerata malattia professionale, grazie all’indagine su 363 lavoratori dell’industria tessile dell’amianto fatta da Merewether.
L’attenzione posta su questi lavoratori permette di individuare un rischio più grave, il carcinoma del polmone. Nel 1949 Merewether, indagando sulle cause di morte dei soggetti esposti ad amianto, constata che il 17% dei decessi è dovuto al carcinoma del polmone (un paragone può essere fatto pensando che l’incidenza attuale della mortalità per qualsiasi forma di cancro nella popolazione generale in Italia è il 30% e che 40 anni fa il cancro rappresentava il 18% di tutte le cause di morte sempre in Italia). Nel 1960 tre ricercatori, Wagner, Sleegs e Marchand, trovano in una provincia del Sud Africa un’elevata frequenza di un tumore: il mesatelioma; il fattore comune alle persone colpite da questa malattia è l’esposizione alla crocidolite o “amianto blu”.
La storia dell’amianto è un esempio di come le scoperte scientifiche seguono e mai anticipano la lunga catena di morti pagate dall’esigenza della produzione industriale.
Che l’esposizione all’asbesto sia importante per lo sviluppo dei mesateliomi è un fatto dimostrato da molti autori. Da un articolo, pubblicato su Sapere nell’agosto 1976, in cui gli autori si chiedevano il perché dell’incidenza così elevata del mesotelioma a Trieste, si traggono queste due conclusioni:
a) l’esposizione all’asbesto può essere di breve durata e l’intervallo tra la fine dell’esposizione e l’insorgenza della malattia può essere molto lungo; soltanto raramente il mesatelioma è associato ai segni clinici evidenti di asbestosi e anche un’esposizione modesta e occasionale è sufficiente a determinare l’insorgenza.
b) Non tutti i minerali di asbesto sembrano ugualmente efficaci a produrre mesateliomi: il maggior effetto cancerogeno è dovuto alla crocidolite, meno le altre forme del minerale. Anche la patologia sperimentale ha avvalorato il ruolo eziologico dell’asbesto nei confronti del mesotelioma.
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Dr. Franco Vecchiet
Medico del Lavoro
Tratto da Konrad n.144 edizione Marzo 2009