Paolo Rumiz si definisce spesso un viaggiatore: ha percorso le rotte della storia in bicicletta, in treno o a piedi, con lo sguardo curioso di chi cerca di capire il mondo. Per viaggiare ha scelto il mestiere di giornalista, che gli ha permesso di esplorare il mondo per lavoro. Per anni ha scritto sulle pagine de Il Piccolo e La Repubblica, raccontando i confini, le terre di passaggio e le storie dimenticate dell’Europa.
Nato a Trieste nel 1947, Rumiz ha seguito eventi cruciali come il crollo della Cortina di ferro, il conflitto jugoslavo, la nascita dei populismi e l’inizio della guerra in Afghanistan, raccontando l’indebolirsi dell’Europa durante le migrazioni. Su La Repubblica ha rilanciato con successo il “Feuilleton” a puntate, sotto forma di storie di viaggio. Si è impegnato fortemente per il federalismo europeo e ha scritto più di trenta libri, molti tradotti all’estero. Tra i suoi titoli più noti: La leggenda dei monti naviganti (2007), L’Italia in seconda classe (2009), La cotogna di Istanbul (2010), Trans Europa Express (2012), Come cavalli che dormono in piedi (2014), Il filo infinito (2019), Il veliero sul tetto (2020), Canto per Europa (2021), Una voce dal profondo (2023), tutti editi da Feltrinelli.
Il suo ultimo libro, Verranno di notte. Lo spettro della barbarie in Europa (Feltrinelli, 2024), affronta temi ricorrenti nelle sue opere: l’Europa, l’immigrazione, i confini e molto altro. In occasione del numero speciale di Konrad, ci ha rilasciato un’intervista per approfondire queste tematiche, care a lui quanto a noi.

Salve Paolo, si è trasferito da Trieste dopo tanti anni. Come mai questa scelta?
Mi sono spostato da Trieste a 73 anni, dopo la pandemia, alla ricerca della campagna. Non avevo mai voluto lasciare la città, ma ora vivo al confine, in Slovenia. Ho “abdicato” per la natura. Amo e odio Trieste: è una città straordinaria, ma oggi si è votata al turismo di massa, dimenticando la sua storia e la sua vera anima, quel valore di cui non si rende più conto.
Cosa pensa della Trieste di oggi? Crede che abbia perso la sua anima multiculturale e accogliente?
No, i cittadini di Trieste continuano ad accogliere. Anzi, hanno dato vita a una delle più belle esperienze di accoglienza in Italia. Trieste ha un’anima aperta che resiste. Anche se la politica nega questa resistenza.
E invece come si colloca Trieste oggi in Europa?
Trieste è stata collocata da Dio in questo luogo, inutilmente, per essere un ponte.
Inutilmente?
Sì, inutilmente. Avrebbe potuto continuare a essere un ponte come lo è stata storicamente, ma oggi manca completamente un’idea di città. Si svende al turismo di massa, ma anche alla Cina e agli Stati Uniti. Tuttavia, ci sono realtà che fanno ancora la differenza. Come i ragazzi di Adesso Trieste, che hanno dimostrato una capacità di reazione e progettualità interessante.
E i triestini sono disposti ad ascoltare?
Molti triestini sono pronti ad ascoltare. Alla manifestazione contro l’ovovia, per esempio, la strada per la stazione era piena di persone, da un marciapiede all’altro. Non mi era mai capitato di vedere così tanta gente in piazza a Trieste. Un segnale forte, che l’attuale amministrazione cerca di sminuire.
Su Verranno di notte leggevo che al momento vive vicino alla rotta balcanica. Le capita di vedere persone che tentano di attraversare il confine?
Sì, molto spesso.
E ha cercato di aiutarli?
Certo. Aiutare i poveracci non è ancora un reato.
Sempre in Verranno di notte. Lo spettro della barbarie in Europa, parla del sovranismo Europeo di questo momento storico come figlio del malcontento post-Covid e dell’odio generato in rete.
Sì, ma sono convinto che la colpa sia anche della stampa, che alimenta questa narrativa in modo parziale.
Per esempio, in Germania è stato accoltellato un turista e la notizia è uscita solo perché l’aggressore era un immigrato. La stampa ha grandi responsabilità: non solo i giornali di destra, che avvalorano questa retorica sovranista e intollerante, ma anche quelli di sinistra, che enfatizzano il problema più del necessario, dandogli una credibilità che non merita.
Con l’elezione di Donald Trump cosa cambierà in Europa, secondo lei?
L’Europa è afona, balbettante. Non ha bisogno di Trump per crollare su se stessa. Lui ha solo fiutato la sua debolezza: un’Europa vassalla degli Stati Uniti, incapace di rianimarsi. Un paio di anni fa ho conosciuto Ursula von der Leyen e ho avuto l’impressione che fosse succube delle politiche americane.
Si parla spesso negli ultimi tempi di un esercito europeo. Secondo lei è possibile?
Sì, è possibile. In dieci anni, con una lingua comune e una tecnologia comune. Ma al momento non c’è unità. Senza la Germania, solo parzialmente la Francia e l’Italia potrebbero contribuire.

All’inizio dell’intervista parlavamo del suo trasferimento al confine. Com’è stato il passaggio?
Sì, mia moglie – che dopo 15 anni ho sposato solo due anni fa – è stata la promotrice di questo cambiamento. Ci siamo trasferiti in una piccola comunità rurale, in un punto tra il mare e l’Europa continentale. Qui tutti hanno il proprio orto, galline, mucche.
Ho due figli, uno di 49 anni e l’altro di 45, e tre nipotini, uno dei quali vive a Trieste. Uno dei miei figli vive a Firenze, l’altro è appena rientrato in città. Nonostante i loro impegni, i miei nipoti amano venire a trovarmi qui in campagna: è un luogo di pace, dove possono stare insieme e riposarsi immersi nella natura.
Vivo circondato da una sinfonia paesaggistica che mi permette di scrivere con tranquillità, anche grazie alla cura di mia moglie, che rende questo un ambiente perfetto per dedicarmi alla scrittura.
Infatti, ho cinque libri in cantiere per i prossimi anni. Il primo sarà su Garibaldi, in cui lo stesso Garibaldi parlerà ai politici di oggi attraverso la sua figura. Dopo di questo, sto lavorando a una saga sulla famiglia Illy, sto ricostruendo la loro storia a partire dalla Romania, che all’epoca faceva parte dell’Ungheria e quindi dell’Impero Austro-Ungarico, fino a Trieste. Ho raccolto testimonianze che nemmeno l’attuale famiglia Illy conosce. Un lavoro affascinante.
Lei, che di confini ha sempre raccontato, oggi vive ancora più a ridosso del confine rispetto a quando era a Trieste. È stata una scelta calcolata?
Sì, vivo letteralmente sul confine, dove non si sa se si è in Italia o in Slovenia. È una frontiera percepita solo dall’esterno, imposta, un filo rosso disegnato sulla mappa. Ma nessun sovranismo potrà mai rivendicare un filo: il confine esiste solo quando qualcuno lo traccia. Per di più, sono nato il giorno in cui quel confine è stato tracciato dagli alleati.
Quindi forse era destino che dovesse viverci.
Forse sì. (Ride)
Vent’anni fa ho fatto un viaggio percorrendo i confini d’Europa, un viaggio che mi ha dato molto di più che viaggiare nelle grandi città. Ho scoperto che le linee di confine non esistono. Mi è tornata in mente una frase del poeta Miroslav Krleža sui serbi e croati: ‘Serbi e croati sono lo stesso pezzo di sterco di vacca, diviso accidentalmente in due dalla ruota del carro della storia.‘ Racchiude bene l’assurdità del concetto di confine.
Giorgia Chiaro
Tratto da Konrad 241 di aprile 2025