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PFAS inquinanti eterni

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I PFAS (composti per e polifluoro alchilici) sono una serie di composti chimici derivati del carbonio in cui tutti gli idrogeni sono sostituiti da atomi di fluoro (Luca Lucentini, autore di un articolo pubblicato per l’ISS, Istituto Superiore, di Sanità, 2019) . Il legame carbonio-fluoro è un legame molto forte per cui questi composti risultano molto stabili e resistenti a attacchi chimici, termici e microbici, e fu per questo che furono prodotti e utilizzati in vari settori (lubrificanti, frizioni d’auto, isolanti, sigillanti, additivi in fluidi idraulici, biocidi agricoli, rivestimenti di tessuti come Goretex e di pentole e padelle come Teflon, ritardanti di fiamma, additivi per schiume antincendio, detergenti casalinghi e industriali, vernici e rivestimenti, dispositivi medici per tessuti operatori e per le sonde usate in medicina).

Non sono però inerti nei confronti del metabolismo degli esseri viventi e in particolare di quello umano (ISDE, International società of doctors for the environment, 2023). Sono bioaccumulabili, persistenti nell’organismo, tossici e probabili cancerogeni, è rilevante il legame con le proteine del plasma e del fegato, l’eliminazione è lenta e vengono riassorbiti nei reni. È stata dimostrata la loro capacità di interferire con i sistemi biologici con l’attivazione di recettori nucleari ormonali PPAR (Recettori Attivati da Proliferatori Perossisomiali) che hanno un ruolo essenziale  nel metabolismo lipidico e glucidico e controllano i processi infiammatori indotti dallo stress ossidativo con alterazione dei livelli ormonali  della risposta infiammatoria e del sistema immunitario essendo interferenti endocrini. L’esposizione umana consiste nel consumo alimentare proveniente dall’agricoltura e dalla zootecnia, nell’igiene personale, nell’uso potabile.

Dei PFAS sono studiati in particolare il PFOA (acido perfluoro ottanoico) e il PFOS (acido perfluoro ottansolfonico).

La loro tossicità è diretta perché essendo stabili e persistenti non presentano trasformazioni metaboliche nell’ambiente (Vincenzo Cordiano, ISDE 2015). Il progetto del 2004 Perforce (Perfluorinated Organic Compounds in the European Environment) era finalizzato alla ricerca dei rischi derivanti dall’esposizione ambientale ai PFAS.Visto il loro uso estensivo sono tuttora ubiquitari nell’ambiente e particolarmente nelle acque che li trasportano dovunque.

Il primo allarme sulla contaminazione da PFAS risale al 2007, erano state trasmesse al Ministero dell’Ambiente e all’Istituto Superiore di Sanità le allerte sulla presenza nell’acqua potabile di questi composti (Report Greenpeace 2023). In particolare erano molto critiche alcune zone in Veneto, anzi in certe situazioni erano proprio fuori controllo, importanti filiere alimentari secondo lo studio europeo Perforce del 2007 risultavano le più contaminate in Europa. Nel fiume Po era stato riscontrata la presenza di 200 ng/L di PFOA  (Un potenziale cancerogeno, da AACR, American Association for Cancer Research) contro una media europea di 30 ng/L. Nel 2008 l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) pubblicava un Rapporto sulla presenza di PFAS negli alimenti e nelle confezioni alimentari e proponeva un limite nell’assunzione in 150 ng/kg di peso corporeo di PFOS e 1500 ng/kg di PFOA. I ministeri della salute europei finanziarono lo studio Perfood per valutare la crisi. Il 28 marzo 2013 i ricercatori IRSA-CNR consegnarono al Ministero dell’Ambiente il dossier sui principali bacini idrici italiani, segnalando che le fonti di acqua potabile delle province di Vicenza, Verona e Padova erano il principale veicolo della contaminazione. Venne individuato il maggior responsabile della contaminazione locale di PFA nello stabilimento Miteni di Trissino (Vicenza), di proprietà della Lanerossi. L’azienda produceva queste sostanze già alla fine degli anni sessanta e scaricava nell’ambiente gli scarti di lavorazione industriale e i fanghi industriali venivano utilizzati come ammendanti per i terreni agricoli.

Tra il 2016 e il 2017 l’ISS (Istituto Superiore di Sanità) effettuava il monitoraggio su quella che fu poi definita zona rossa e riscontrava che gli alimenti erano la maggior fonte di contaminazione della popolazione umana. Nel 2016 partiva una campagna di analisi del sangue di allevatori e agricoltori provenienti dalla zona rossa. La situazione risultava molto critica e ancora ad oggi non è stata trovata una soluzione definitiva al problema PFAS che riguarda 400 mila persone e l’inquinamento delle falde di tutta l’area. Una grande quantità di alimenti vegetali, di carni, uova e pesci sono contaminati dai PFAS, gli impianti di depurazione di Trissino, Arzignano, Montebello, Lonigo e Cologna Veneta non sono in grado di eliminare i PFAS presenti nelle loro acque di scarico, possibile solo attraverso lafiltrazione con carbone attivo. Nel 2017 venivano ancora prodotte e distribuite in Italia 200 ton di PFAS. La Regione Veneto fissava i limiti tollerabili di PFAS nell’acqua potabile: 60 ng/L per PFOA 30 ng/L per PFOS. Il comparto conciario di Arzignano e il canale artificiale che raccoglie i reflui industriali delle aziende circostantisono le maggiori fonti d’inquinamento. L’Arpa del Veneto ha ormai un quadro completo del pesante impatto dei PFAS sul bacino idrico del Veneto.

Nel 2022 l’Unione Europea esprimeva attraverso la Raccomandazione 2022/1431 la necessità che gli stati membri provvedessero al monitoraggio della presenza di PFAS negli alimenti nel corso degli anni 2022, 2023, 2024 e 2025. Il monitoraggio avrebbe dovutoriguardare la frutta, gli ortaggi, radici e tuberi amilacei, alghe marine, cereali, frutta a guscio, semi oleosi, alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia, alimenti di origine animale, bevande alcoliche, vino e birra.

Greenpeace  nel 2024 affermava che in base all’ultimo report di ISPRA in sedici regioni d’Italia i corsi d’acqua sono contaminati da PFAS, esiste quindi un inquinamento ambientale diffuso. Basilicata, Veneto e Liguria presentano il 30% di analisi positive sul territorio. Però in alcune Regioni i controlli sono pochi. In FVG la Giunta regionale sull’aggiornamento dell’aprile 2025 afferma che la tutela delle risorse idriche è una priorità assoluta, e le aree di maggior attenzione sono l’alta e media pianura occidentale. 

I consiglieri di minoranza FVG alla fine del 2024 presentarono una mozione per ricordare che nel gennaio 2026 entrerà in vigore la direttiva UE 2020/2184 recepita con d.lgs. 18/2023 che consiglia un limite massimo di 100 ng/L per la somma delle 24 molecole di PFAS nelle acque potabili. È quindi necessario intervenire sulle discariche che non sono state messe in sicurezza sul territorio regionale. Nei comuni di Roveredo in Piano e Porcia i livelli di PFAS arrivano a oltre 230ng/L nella falda acquifera. Mario Canciani presidente regionale dell’ISDE sottolinea che i PFAS essendo interferenti endocrini possono modificare l’espressione dei geni, E non si conoscono i livelli minimi di sicurezza. La Giunta regionale  nella primavera del 2025 ribadisce l’impegno a prevenire nuove fonti di contaminazione attraverso una più attenta vigilanza dell’ARPA sulle attività potenzialmente a rischio per garantire la qualità dell’acqua destinata al consumo umano. Speriamo bene.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A32022H1431

 

Lino Santoro

 

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