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Banane, colonialismi e un dipinto di Diego Rivera

Paesi delle banane 

Banane, colonialismi e un dipinto di Diego Rivera

di Óscar García Murga

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Diego Rivera “Gloriosa Victoria”, 1954

Nel 1950 un filmato promozionale della United Fruit Company (UFCO) chiamava Banana Land l’insiem dei seguenti paesi: Messico, Guatemala, Honduras, Costarica, Panama, Colombia, Cuba, Giamaica e Repubblica Dominicana. Nel 1971, con la commedia “Il dittatore dello Stato Libero di Bananas” di Woody Allen il termine divenne popolare. Nel romanzo “Cent’anni di solitudine” di García Marquez, Macondo, paese immaginario della giungla colombiana, è dominato dalla presenza di grandi piantagioni di banane. Nel “Canto Generale “Pablo Neruda critica con forza la UFCO.
Il termine Paesi delle banane è un dispregiativo per definire stati falliti.
Vorrei qui parlare delle banane, della UFCO e di un conseguente colpo di stato in Guatemala.
Le banane sono prodotte da una pianta della famiglia delle Musacee.
Nei suoi viaggi Alessandro Magno conobbe questo frutto già nel 336 a.c.
Testimonianze archeologiche parlano della coltivazione di questa pianta tra i 5.000 e gli 8.000 anni fa in Papua Nuova Guinea. Ancor oggi si trovano specie selvatiche in Nuova Guinea, Malesia, Indonesia e nelle Filippine. In Italia sopravvivono alcune cultivar di banane, come la comune di Sicilia, dove si riescono a portare a maturazione i frutti.

Gli arabi hanno portato questa pianta in Africa e i Portoghesi alle Canarie e nel XVI secolo in America Latina. Le banane sono prodotte in più di 135 Paesi per il frutto, la fibra e come base per vino e birra. La produzione mondiale raggiunse nel 2012, 140 milioni di tonnellate di cui 18 per l’esportazione. L’India è il più grande produttore del mondo.  L’Ecuador è il più grande esportatore. La varietà più consumata in Europa e negli USA è il tipo Cavendish che, per la sua povera biodiversità, sopporta male l’attacco di malattie.

Nel 1870 appaiono le prime piantagioni moderne in America Centrale. Le transnazionali diventano grandi latifondisti. Sono Società monopolistiche, con dominio verticale di tutta la filiera: produzione, processo, imbarco, distribuzione e marketing. Lo scopo è costituire economie d’enclave (economie autosufficienti internamente, quasi senza tassazione, costruite per l’esportazione e lasciando quasi nulla al paese ospite). Le manovre politiche con largo uso della corruzione delle elite locali consolidano i connubi illegali tra le transnazionali e i regimi non democratici. Cosi Paesi depredati e ridotti a una schiavitù politica ed economica si sentono pure attribuire dai loro sfruttatori  lo sberleffo offensivo della definizione: Paesi delle Banane.

Nel Medioevo Martin Lutero diceva: “Wer den Schaden hat, darf für das Gespötte nicht sorgen” (Chi soffre il danno si preoccupa meno della beffa”. Noi diciamo:  Al danno si aggiunge la beffa.

L’ideologia dello sviluppo non era ben vista nella logica binaria della Guerra Fredda che la considerava una strada per il comunismo totalitario, da stroncare sul nascere. Sensibili a questa considerazione erano due fratelli John Foster Dulles, Segretario di Stato dell’amministrazione Eisenhower, e Allen Dulles, capo della CIA. Prima di occupare cariche pubbliche, questi due fratelli avevano lavorato presso lo studio legale newyorchese Sullivan & Cromwell dove avevano rappresentato industrie come J.P. Morgan & Co., la International Nickel Co., la Cuban Sugar Cane Corp. e la UFCO.

Nel 1944 ebbe inizio la primavera democratica in Guatemala. Le concessioni all’UFCO vennero riviste e il 17 giugno 1953 il presidente Jacobo Arbenz Guzmán approvò la Riforma agraria che restituiva la terra ai contadini indigeni. La CIA intervenne e rovesciò il governo. Il popolo non accettò i nuovi padroni. Ne seguirono  36 anni di guerriglia, al prezzo di 250.000 morti e un milione di rifugiati. Eppure Arbenz voleva trasformare il Guatemala da Paese arretrato in un moderno Stato capitalista: un’aspirazione più vicina a Keynes che a Stalin.

IL QUADRO

Diego Rivera “Gloriosa Victoria”, 1954

Al centro il segretario di Stato John Foster Dulles stringe la mano a Castillo Armas capo dei mercenari pagati dalla CIA che divenne dittatore dopo il colpo di Stato a Arbenz. Il capo della CIA, il fratello Allen Dulles e l’ambasciatore degli USA in Guatemala, John Peurifoy regalano soldi contanti ai comandanti militari mentre gli indigeni lavorano come schiavi caricando le navi della United Fruit Company con i caschi di banane. Ai piedi dell’ambasciatore c’è una bomba antropomorfizzata che contiene il volto sorridente del presidente Dwight Eisenhower. Sullo sfondo l’arcivescovo del Guatemala, Mariano Rossell y Arellano,  che dice messa sui corpi dei lavoratori massacrati. Questa opera è stata vietata negli Stati Uniti ed è sparita dalla circolazione per più di 50 anni. Nel 2000 è stata ritrovata nei depositi del museo Puškin di Mosca. Oggi si trova in Messico.

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