A volte si ha la sensazione, come dire? di non essere soli, di essere seguiti. Ci giriamo con fare circospetto, ma nella strada vuota non c’è anima viva. Scorriamo con lo sguardo la piccola stanza in cui ci troviamo: nessuno. Anche l’altra sera al bar ci pareva che ci fosse “qualcun altro” oltre al barista e agli altri sbiaditi avventori. Ce qualcuno che ci segue sempre, che assiste alle nostre grandezze e alle nostre miserie, qualcuno che se ne sta sempre zitto e sa tutto di noi, ma non ci giudica.
L’ombra è una strana entità: da un certo punto di vista esiste, poiché la si può vedere e misurare, eppure incarna un’assenza. Dove vediamo un’ombra infatti non c’è nulla, c’è soltanto mancanza di luce. L’ombra è una non-cosa, proprio come il suo altrettanto misterioso fratello, il buco, che è assenza di materia. L’ombra è l’unica entità percepibile ai nostri sensi che possiede un solo lato. Ma chissà, guardandola meglio sarebbe cosi l’ombra dell’ombra, in pratica un’ombra al quadrato.
Chissà perché, cosi miti e fedeli, parche e modeste, le ombre ricevono da noi un cosi cattivo trattamento. Le ombre infatti hanno associate a termini negativi: basti pensare alle persone o agli animali ombrosi, ai governi ombra, a chi è diventato l’ombra di se stesso e all’ombra oscura che secondo la psicologia alberga in ognuno di noi. C’e chi trama nell’ombra e chi si adombra. Ombra fa spesso rima con stati d’animo grigi, lividi e neri. Ombra fa rima con armadi chiusi che è meglio non aprire, con fantasmi e demoni malvagi. Cl ricordiamo delle virtù dell’ombra solo in estate, quando dopo una lunga camminata, estenuati e sudati bramiamo un po’ di frescura, un po’ d’ombra, appunto.
Anni fa possedevo una piccola collezione di ombre: avevo iniziato con ombre piuttosto comuni, come ombre di foglie, di sassi e di piccoli oggetti. Poi ho iniziato ad interessarmi di ombre più ricercate e preziose. Come ombre di quadrati rotondi, di assoli di tromba, di risate incontenibili. Poi un giorno mia sorella ha aperto il cassettino dove custodivo gelosamente i miei tesori, e le mie ombre sono volate via. Meglio cosi, ho pensato in seguito, era giusto che se ne andassero libere insieme alle altre ombre.
I moderni non amano molto I’ombra: la civiltà si misura tra I’altro dal dispendio di energia, energia impiegata in gran parte per l’illuminazione E cos’e l’illuminazione se non un modo per far scomparire le ombre? Per questo negozi strade, locali pubblici vengono illuminati il più possibile, per scacciare queste scomoda presenza.
Le ombre ovviamente si formano lo stesso, anzi, più forti sono le luci più le ombre si rafforzano, ma si cerca che cadano sotto i tavoli o negli angoli nascosti.
Per millenni le ombre erano incerte e un po’ inquietanti come quelle proiettate dai naturali si muovevano, danzavano, erano vive, cangianti come quelle che il sole proietta durante il giorno. La vita metropolitana ci ha abituati ad ombre plastificate, immobili, sempre uguali a se stesse.
Difficilmente troverete ombre nei corridoi e negli scaffali dei centri commerciali, quelle poche che ci sono vengono chiuse a chiave nei magazzini. Sono rare le ombre anche negli enormi capannoni dove i polli vengono allevati stipati come in un autobus all’ora di punta, sotto una luce accecante per farli crescere rapidamente. Cosi anche nelle fabbriche, che non possono permettersi nemmeno mezz’ora d’ombra, perché il ciclo produttivo non deve fermarsi mai.
Un tempo ci si divertiva con le ombre cinesi, e c’erano la lanterna magica e il teatro delle ombre. Oggi gli schermi al plasma sempre più luminosi hanno sbaragliato questi ed altri ombrosi passatempi. L’illuminismo e l’illuminazione hanno quale prezzo? Al prezzo di altre ombre, naturalmente.
E interessante notare come “hombre” in spagnolo significhi uomo. Ovviamente è un caso, ma suggerirei di approfittarne per riflettere sulla nostra natura. Diversi pensatori contemporanei paragonano l’essere umano a un “ologramma”, una proiezione tridimensionale e illusoria della propria anima. “Ologramma”, così come laser, sono due metafore molto moderne, molto “in”, spesso usate da quei filosofi che vogliono restare al passo on i tempi, visto che di “ombra” e di “luce” sono già stati riempiti milioni di papiri, di pergamene e di volumi in brossura. Ma è sempre attuale la storia di quel tale che raccontava circa duemilaquattrocento anni fa, secondo la quale gli esser umant si trovano in una caverna buia, incatenati con un fuoco alle spalle, ed assistono ad un continuo e incomprensibile teatro d’ombre.
Noi stessi, qui e ora, siamo ombre, proiezioni tridimensionali e colorate, convincenti quanto irreali di quel qualcosa che ci essenza, il nostro nucleo più profondo. Che poi magari, anche il giorno che riuscissimo accorgerci che anche quello è solo un’ombra di qualcos’altro.
Ma questa è un’altra storia. Per ora accontentiamoci di finire di leggere il Konrad.
Francesco Gizdic
Tratto da Konrad numero 155 di aprile 2010.