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Mete e viaggi Montagna

Le Babe e i Kramar

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Parole e suoni, abitudini, usanze, foto e strumenti. Scampoli del tempo trascorso, eredità del suo scorrere inesorabile. Sono emerse qualche mese fa quando (come Gruppo ONC Operatori Naturalisti e Culturali del CAI-Società Alpina delle Giulie) intendevamo proporre percorsi alla ricerca di acque carsiche che sgorgano gelide ai piedi dell’altipiano del Canin da numerose sorgenti, chiamati Fontanoni, come quello di Goriuda, in Val Raccolana.

Poi abbiamo preferito risalire il torrente Resia e curiosare nei dintorni di un altro Fontanone, chiamato “Barman”. Una grotta alimenta una cascata di 70 m che scroscia dai ripidi versanti dei Musi.

Complici una primavera in stile invernale, con neve ancora nei canaloni in ombra, una domenica sotto una continua pioggia battente e altre disavventure, ho scoperto un mondo che mi era quasi ignoto. Risaliamo la valle fino all’ultimo paese, Stolvizza. Conserva ancora un nucleo storico, sopravvissuto miracolosamente al terremoto del 1976.

Al di sopra, in lontananza, la maestosa balconata del Canin. Gli ultimi torrioni rocciosi, separati da un ripido canalone, sono proprio le Babe, Grande e Piccola. In mezzo, alla base, un puntino rosso: é il bivacco Costantini. A destra invece la catena dei Musi, la zona più piovosa della regione.

Sento della musica provenire da un locale, sembra una ballata irlandese. Mi dicono che è la musica del posto, antica come la loro lingua forse slovena o addirittura legata a migrazioni dell’anno 1000. Qui la suonano ancora e ballano, accompagnati dai loro strumenti: violino e un violoncello a tre corde. Sembra un mondo tranquillo e sereno ma non è stato sempre così. Basta osservare i murales che decorano le antiche case: una donna, rigorosamente in nero, quasi schiacciata da un covone immenso sulla schiena. E uno strano oggetto parcheggiato nei pressi: sembra una bici, vecchia e rugginosa, corredata da un intrico di catene e strani macchinari.

Rimaniamo con la curiosità e ci inoltriamo lungo l’itinerario che consente un primo approccio tranquillo alla valle. È il TA LIPA POT, ossia la bella strada che attraversa entrambi i versanti tra boschi, vecchie case, il torrente, altri piccoli corsi d’acqua e alcuni orti in cui si coltiva lo stok, l’aglio di varietà locale che da luglio è offerto in animate feste di mezza estate.

Alla fine ritorniamo al paese e ci imbattiamo nel Museo dell’Arrotino curato dall’Associazione Vivi Stolvizza. Ci raccontano che nell’Ottocento una grave crisi stimolò l’ingegno, e l’emigrazione, che prima era il solo rimedio, fu accompagnata da una specializzazione: l’affilatura di forbici e temperini e di altri strumenti appuntiti e taglienti.

Sono i kramar – da krama, lo zaino, fidato compagno di 30 kg, sulla schiena, dotato di mola di arenaria per affilare le lame. Far girare la ruota era spesso il compito di bambini che così cominciavano a imparare il mestiere. Poi hanno istallato un paio di ruote e hanno tramutato l’attrezzo in un una specie di grande carriola. Ancora un colpo di scena: la trasformazione di una bici, appositamente dotata di catena e treppiede. Potevano spostarsi abbastanza agevolmente e poi, stabilizzato il mezzo, sempre seduti in sella, pedalare e far girare la mola. Questi viaggi hanno portato i resiani in tutta Europa e oltre, dormendo nei fienili, spesso lavorando per un piatto di minestra, per tornare in paese, i più fortunati, solo quando servivano braccia per la fienagione. Prima di cedere alla globalizzazione, l’ultima idea è stata la motorizzazione. Ora, gli ultimi kramar lavorano solo nelle manifestazioni folcloristiche.

Per fortuna il Parco delle Prealpi Giulie tutela da 20 anni questo patrimonio umano ed ambientale. Motivo in più per escursioni che ci avvicinino allo spirito dei luoghi, non solo per un effimero relax.

 

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