È una lotta continua. Dura e spesso frustrante. Spuntano dovunque e crescono con una velocità che sembra travalicare le nostre conoscenze sulla fitobiologia.
Eppure da anni non le offendo più con i termini “erbacce” o “malerbe”. Cerco di dribblare, anche nel pensiero, persino il termine “infestanti”. Preferisco termini meno violenti, come “erbe indesiderate”.
In effetti, la quasi totalità sono solo indesiderate. E lo sono, quasi tutte, solo “qui” e “ora”.
Qui, perché nell’orto preferiremmo veder crescere soltanto quello che abbiamo piantato o seminato. Ma più in là sono utili, se non indispensabili. L’invasivo trifoglio, grazie ai suoi simbionti radicali, fissa nel terreno l’azoto atmosferico. Persino temute e perciò odiate graminacee si rivelano molto utili: nelle zone umide, fuori dell’orto, sono culla fertile dei laboriosi e preziosi lombrichi. Senza dimenticare che senza di loro i prati semplicemente non esisterebbero.
Ora, perché nelle giornate d’inverno fredde, secche e ventose la loro copertura preserva il terreno da eccessive erosioni e da altri guasti. E rivoltando il terreno nei tempi e modi opportuni, diventano ottimi fertilizzanti.
E poi, perché usare appellativi violenti? Se siamo uomini e donne di pace, come ci proclamiamo, questi termini sembrano proprio poco indicati e mostrano una certa incoerenza. Chiamiamole allora “erbe indesiderate” (nell’orto). Sarà un modo per dare dignità a tutte le specie animali e vegetali esistenti (zanzare escluse, vi concedo) e per dimostrare la nostra coerenza sul campo. Anzi, nell’orto.
Franco Delben