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Culture Vini e cibi critici

Migrazioni culinarie: la cassata siciliana

di Cristina Rovere

Trebisonda1_Rovere_K237_onlineIl 20 giugno si è celebrata la Giornata Mondiale dei Rifugiati. L’Italia in queste ultime settimane non sta mostrando la sua faccia più accogliente verso chi fugge da guerre, dittature e fame. Le dichiarazioni e le prese di posizione di alcuni esponenti del governo fanno salire la bile in gola. Perché quindi non ricordarci con un esempio semplice e dolce che la purezza è un mito e che le società evolvono per incroci ed ibridazioni? L’Italia è sinonimo di buon cibo ed uno dei suoi dolci più noti al mondo è la cassata siciliana che oggi non esisterebbe se non ci fossero state migrazioni, scambi di persone e merci nel corso dei secoli.

Già il nome è di origine incerta; chi lo fa risalire al latino caseus – formaggio – chi all’arabo ka’s, cioè “tazza, ciotola”.

La proto cassata era una amalgama di ricotta e miele, perché il mondo greco e romano non dolcificava con lo zucchero che, spezia preziosissima di importazione, era utilizzato solo come medicinale. Se nel 827 d.C. gli Arabi non fossero arrivati in Sicilia, chissà come e se si sarebbe modificato questo dolce, sicuramente non sarebbe diventato quello che conosciamo oggi.

Gli Arabi infatti introdussero in Sicilia la coltivazione estensiva di alcune piante nuove, tra cui lo zucchero, i limoni, le arance e le mandorle.

La canna da zucchero è un migrante di provenienza geograficamente lontana; è nata in Estremo Oriente, poi si è diffusa in India e il persiano Dario se la portò in patria per coltivarla nelle zone caldo-umide del Khuzestan. Qui la trovarono gli Arabi che pensarono bene di coltivarla in tutto in bacino del Mediterraneo (Marocco, Algeria, Tunisia, Spagna del sud e, appunto, Sicilia). In parallelo misero in piedi una delle prime industrie agroalimentari dell’epoca. Infatti edificarono infrastrutture come canali di irrigazione (qanat) e ruote idrauliche (noria) per convogliare le acque nelle piantagioni; progettarono e realizzarono torchi per pigiare le canne ed estrarne il prezioso liquido che poi veniva fatto bollire in enormi calderoni.

Ecco quindi che lo zucchero sostituì il miele e la cassata cominciò il suo lungo viaggio di trasformazione e meticciato.

Trebisonda2_Rovere_K237_onlineGli Arabi oltre che ad utilizzare il succo di arance e limoni per farne sciroppi e sorbetti (dall’arabo sharab, “bevanda”), si inventarono il processo della canditura della buccia. Così anche la frutta candita che abbellisce l’odierna cassata, affonda le sue radici nella Sicilia araba del X e XI secolo.

In una temperie culturale così cosmopolita la nobildonna normanna Eloisa Martorana fondò alla fine del XII secolo un monastero, le cui monache, mescolando farina di mandorle e zucchero, diedero vita a una preparazione nuova: la pasta di mandorle, o pasta reale. Questa, tirata sottilissima, finì sulla cassata. L’impasto di ricotta e zucchero si vestiva così di un virgineo guscio bianco punteggiato dal colore dei canditi.

Con la fine del Regno di Napoli e Sicilia quest’ultima venne incorporata nella corona di Spagna (1516 d.C.), e nell’isola si verificarono una serie di andate e ritorni alimentari. Alcuni prodotti partirono per il Nuovo Mondo, altri ne arrivarono.

La canna da zucchero riprese a viaggiare fino a raggiungere Hispaniola (oggi Santo Domingo) già a inizio ‘500, in compenso da lì arrivò la cioccolata.

Sotto la dominazione spagnola all’impasto di ricotta e zucchero vennero aggiunte gocce di cioccolata e il pan di Spagna a fare da cuscinetto tra il cuore morbido e la candida copertura di pasta di mandorle.

Romana, araba, normanna e spagnola, la cassata siciliana è il prodotto dolce e raffinato dei movimenti di uomini, idee e merci che si sono susseguiti nel Mediterraneo nel corso dei secoli.

Se il cibo è cultura, vale la pena ricordare le parole dell’intellettuale palestinese Edward Said: “Tutte le culture sono coinvolte l’una con l’altra, nessuna è unica e pura, tutte sono ibride, eterogenee, straordinariamente differenziate e non monolitiche”.

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