di Cristina Rovere
Ripensare la bellezza e la cultura nelle periferie
Negli anni, grazie ad amici e conoscenti che mi sono venuti a trovare, ho potuto mettere insieme un piccolo diario delle impressioni su Trieste. Eccone alcune:
“Lontana, che è forse il suo bello”
“In gita scolastica ci siamo fermati solo a Miramare”
“Poco italiana”,
“È come quando ero qui con mio marito che lavorava alla costruzione di Porto Nuovo”
“Come sospesa”
Certo, il senso di sospensione sarà anche dovuto alle imprescindibili due ore di treno da Mestre, ma questi pensieri mi hanno sempre richiamato alla memoria quanto scriveva Hermann Bahr – nel 1909 – quando definiva Trieste “strana”, perché “qui si ha l’impressione di non essere da nessuna parte. Sembra di muoversi nell’irrealtà”.
La percezione che dà Trieste al visitatore novecentesco e contemporaneo, e forse anche a chi vi abita stabilmente, è che di una città appartata e dilazionata. Ecco, quindi, che sogno una città in cui l’arte e la cultura ne siano la sveglia e il metronomo: una città senza tempo, ma contemporanea.
Per darle un abbrivio, vorrei che i musei cittadini non fossero solo quelli concentrati nel quadrilatero tra Piazza Venezia e Piazza Unità, con qualche puntata sul Canale di Ponterosso, ma che venissero maggiormente valorizzati i musei periferici e che le periferie diventassero parte integrante dei percorsi cittadini, rivitalizzandole come luoghi dove si fa arte pubblica, street art, ecc.
Mi ferisce sempre uscire dalla Risiera di San Sabba e vederla incastrata tra un parcheggio, dei supermercati, in una zona dove le case di edilizia popolare sono mestamente abbandonate all’usura del tempo. Se, come scrive Marc Augé, “l’architettura segue la Storia come un’ombra”, non mi piace la Storia che leggo in quei palazzi, perché il senso di disfacimento di quelle case si riflette inevitabilmente nella storia personale di chi le abita. L’essere umano è sempre in divenire, in cantiere e credo non meriti di vivere così.
Mi piacerebbero, quindi, interventi di riconversione creativa, a basso costo economico, ma con coinvolgimento attivo della cittadinanza e di grande impatto sociale.
Non serve citare grande esempi di rivitalizzazione delle periferie europee o addirittura di città intere (ma prima del museo di Frank Gehry a Bilbao chi ci andava?), basta guardare a Roma. Roma, sì, proprio la tanto discussa e vituperata Roma!
Qualche settimana fa sono stata a Tor Marancia, un quartiere di edilizia popolare fuori dai circuiti turistici dove degli interventi di murales e street art hanno creato un museo a cielo aperto sulle facciate di palazzi vecchi e bigi.
Quello che mi piace di Tor Marancia è che alcuni interventi siano estremamente rispettosi del declino degli edifici, sicché gli intonaci caduti sono diventati parte dei murales, sono serviti a creare chiaro-scuri, come nell’arte giapponese del kintsugi in cui l’oro e l’argento vengono usati per riparare dei vasi rotti che non saranno mai più come l’originale, ma che con questa forma di rammendo diventano qualcosa di assolutamente diverso e nuovamente bello.
Foto: Tor Marancia, Roma (photo credit C.Rovere)