In sala in questi giorni, The legend of Ochi è il film d’esordio di Isaiah Saxon, un fantasy per famiglie che, pur senza innovare sul piano narrativo — e anzi proponendo la affatto inedita storia diuna bambina che interagisce segretamente con un essere di fantasia — riporta al centro un tema tanto intramontabile quanto urgente: il rapporto, logoro e pieno di incomprensioni, tra esseri umani e natura.
Ambientato sull’immaginaria isola di Carpathia, affacciata sul Mar Nero, il film è ambientato in uno scenario sospeso, quasi fuori dal tempo, di una ruralità post-sovietica in cui la tecnologia è pressoché assente. Qui, gli ochi — creature selvatiche simili a primati dal muso blu — sono ritenuti dagli abitanti i responsabili degli attacchi al bestiame e per questo sono cacciati.
Il capo dei cacciatori è Maxim (Willem Dafoe), fanatico delle armi e della religione, la cui casa, piena di fucili e dalle pareti tappezzate di inquietanti trofei di caccia è un vero e proprio altare alla guerra. È lui il patrigno e l’educatore di vari ragazzi dell’isola, nonché il padre biologico di Yuri (una bravissima Helena Zengel), ragazzina chiusa e solitaria, che non si dà pace per il mai chiarito abbandono da parte della mamma. Quando Yuri trova un cucciolo ferito di ochi, separato dalla madre proprio durante la battuta guidata la notte precedente da Maxim, decide di curarlo e di fuggire per riportarlo al branco. Inizia così un viaggio difficile, ostacolato dalla natura impervia nonché dallo stesso padre, che la insegue insieme alla sua milizia di ragazzini armati — tra cui Dasha, fratello adottivo della bambina, interpretato da FinnWolfhard (Stranger Things).
La trama, dichiaratamente ispirata a E.T. e ad altri capisaldi del cinema fantastico, non brilla per originalità. Ma Saxon la anima con una riflessione profonda sul rapporto con l’ambiente. Non solo: la colora con uno stile visivo vintage, a tratti divertente — come nella scena del supermercato, nel quale l’affamata bambina in fuga viene sorpresa col suo amico ochi, gettando nel panico i presenti. Fiabesca anche la ricostruzione delle baite di montagna,il cui odore nebbioso di legna bruciata e di tappeti impolverati sembra arrivare in sala.
È molto interessante come la natura rappresentata nella pellicola non appaia addomesticata né idealizzata: la bambina viene morsa dal cucciolo, incidente che le provoca una ferita grave per la qualela piccola rischia l’amputazione di un braccio, e poi curata con l’antidoto ottenuto dal sangue di un pipistrello che convive nell’habitat degli ochi, a testimonianza di come il mondo animale, oltre che elemento di tassidermico arredo domestico, sia anche fonte di approvvigionamento medico per la specie umana.
Anche la restituzione del piccolo al branco di ochi, che contrassegna la fine di questa favola, è carica di tensione: non si tratta solo di attraversare territori ostili per raggiungere le grotte dove vivono questi animali, ma anche di affrontare il rischio che il cucciolo, ormai impregnato di odore umano, venga rifiutato dalla sua stessa specie.
A stemperare la tensione c’è sempre un romanticismo fiabesco: gli ochi comunicano attraverso un verso melodioso, misterioso e affascinante, che Yuri scopre di riuscire a comprendere e persino a parlare. I versi di questa forma di comunicazione sarebberoguidati dalle emozioni — come le spiegherà la madre (Emily Watson), personaggio ruvido e segnato dalla solitudine della vita tra le montagne, anch’essa un tempo entrata in contatto con questa specie elusiva e misteriosa.
The legend of Ochi è quindi una fiaba ecologista che approfitta dell’incomunicabilità tra specie per raccontare anche ilproblematico rapporto tra genitori e figli, spesso segnato da muri emotivi e silenzi invalicabili. Ma soprattutto suggerisce che, mettendosi in ascolto dell’altro — animale o umano che sia — è possibile riscoprire anche parti dimenticate di sé e, nel suo viaggio per restituire il cucciolo, Yuri attraversa la foresta ma anche un pezzo della propria interiorità.
Il finale del film evita il sentimentalismo facile: se da una partealcune ferite si ricompongono, non tutti i conflitti si risolvono: Yuri capisce che i suoi genitori avranno sempre molti limiti, così come gli ochi vivranno sempre nel loro territorio. È un lieto fine misurato, che affida alla prossima generazione, incarnata dalla giovane protagonista, la speranza di un futuro dove il rispetto per la natura passa anche attraverso la comprensione dei suoi limiti, tra spazi di convivenza e necessaria separazione, non di conquista.Speriamo sia davvero così.
Irene Tartaglia