Konrad
Economia e lavoro

Come stavamo ieri, sarà così domani?

Tempo di Lettura 3 Minuti

– di Comandante Diavolo –

“Boy: (in a rush). Mr. Godot told me to tell you he won’t come this evening but surely tomorrow.

Estragon: Well, shall we go?

Vladimir: Yes, let’s go. (They do not move.)”

In “Aspettando Godot” va in scena il perenne tentativo dell’uomo di muoversi, procedere, cambiare la propria situazione. Tentativo fallimentare secondo Samuel Beckett e dunque frustrante. Un simile anelito esistenziale sembra rappresentare piuttosto bene la situazione dell’Europa e della sua moneta nella perenne discussione tra sostenitori e detrattori, infiammata dalla crisi degli ultimi anni. Partiamo da un punto fermo: non esistono punti fermi. Chi spaccia ricette miracolose appartiene necessariamente a due categorie: mente sapendo di mentire oppure è ignorante. Togliamoci dalla testa che l’uscita dall’euro sia di per se la soluzione a tutti i mali che affliggono l’Italia.

Raffigurazione sulla moneta greca da 2 Euro di Europa rapita da Giove
Raffigurazione sulla moneta greca da 2 Euro di Europa rapita da Giove

Gli euroscettici affondano molte delle proprie convinzioni in un lavoro del 2012 dell’economista inglese Roger Bootle dove si ipotizza uno scenario di fuoriuscita dall’Euro da parte di un paese membro. Secondo Bootle gran parte della riuscita si baserebbe su una sorta di effetto-sorpresa: preavviso di pochi giorni alle autorità europee, controlli sui capitali, rifornimento di nuova valuta al sistema bancario ed immissione nel sistema. Il cambio iniziale verso l’euro sarebbe 1:1, ma verrebbe immediatamente svalutato, nel caso dell’Italia tra il 20% e il 40%. La svalutazione porterebbe maggior competitività alle esportazioni, con conseguente maggior domanda della nuova valuta e successiva parziale rivalutazione. Altri vantaggi derivebbero dal risparmio dei trasferimenti verso l’UE, una maggiore solvibilità derivante dalla ritrovata sovranità monetaria e la possibilità di fare spesa a deficit.

Ci sono alcune luci e molte ombre in questa teoria. L’argomento della maggiore competitività degli export sembrerebbe essere ben supportato, nonostante da questo punto di vista l’Europa sia di fatto un sistema chiuso dove il 70% delle esportazioni avviene verso altri paesi membri. Poco si può dire sui potenziali effetti inflattivi: ci sarebbe sicuramente una inflazione da importazioni (più costose col cambio svalutato) che riguarderebbe sopratutto la bolletta energetica. Al di là di questo si potrebbe avere una inflazione temporanea (tutta e subito) oppure strutturale, ma in definitiva l’impatto dipende molto dal tasso di crescita reale: se il Pil cresce più dell’inflazione questa non costituirebbe un problema. Alle dinamiche inflattive è legato un eventuale intervento dell’autorità monetaria sui tassi di interesse che dovrebbero essere alzati con rischi di avvitamento del mercato del credito. E il debito pubblico? Un circolo vizioso non di poco conto. Dovesse restare denominato in euro, a cusa della svalutazione peggiorerebbe la solvibilità dello Stato che rischierebbe il default per la difficoltà di coprire la spesa per interessi e rimborsare il debito in scadenza. Lo stesso discorso varrebbe per il debito privato. D’altra parte la ridenominazione forzosa nella nuova valuta domestica costituirebbe comunque un evento di default e si tratterebbe di negoziare una ristrutturazione con i creditori. Che in questo momento sono sopratutto le banche domestiche a rischio dunque di nazionalizzazione.

Certamente l’Euro ha la sua parte di responsabilità nella crisi attuale. Su tutto la sopravvalutazione strutturale su cui è nata la moneta unica: valute tradizionalmente deboli come la lira hanno subito una rivalutazione importante nel periodo precedente al 1999. Lungi dal rappresentare un’area valutaria ottimale, l’Eurozona ha dalle sue origini anche un macroscopico problema di debito estero. Paesi come Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda si sono indebitati con l’estero per finanziare i consumi interni e la spesa pubblica.

I prestatori erano paesi come la Germania che abbinavano la caratteristiche di un surplus di partite correnti (export > import, surplus di capitale) ad una forte competitivitá interna. I prestatori erano attratti da rendimenti più alti, senza più il rischio di cambio. Indebitarsi in Euro equivale sostanzialmente ad indebitarsi in una valuta straniera per i singoli stati che non controllano la politica monetaria. Da qui ha preso le leve la crisi del debito sovrano. E da qui è doveroso e sensato ripartire: una unione monetaria e politica senza unione fiscale è come un cavallo azzoppato. L’Europa considerata come soggetto unico ha fondamentali indicatori economici migliori di paesi come Giappone e Regno Unito e non avrebbe nulla da invidiare a Cina e Stati Uniti.

La soluzione non va ricercata guardando all’indietro perchè il mondo è cambiato, noi siamo cambiati. La globalizzazione ha innescato un meccanismo di permanente rivoluzione in cui gli equilibri evolvono costantemente. Le società occidentali condividono tutte gli stessi problemi: elevato indebitamento, invecchiamento, minore produttività. Il capitalismo sta male, ma è ancora seduto al tavolo da gioco e detta ancora regole. Per questo la risposta non può essere cercata nei particolarismi di un pensiero regressivo e negativo in quanto tale. All’indebolimento degli stati non si è sostituita una Europa più forte, ma più burocrate, più tecnocrate. C’è una emergenza democratica da affrontare per evitare il rischio di nuovi autoritarismi.

Related posts

Agricoltura (e mondo) sociale. Intervista a Dario Parisini, Presidente di “Interland”

Riccardo Redivo

Non mettiamoci nelle mani dei mercati. Il TTIP va fermato!

Redazione KonradOnLine

Troika… rivemo!

Ermanno Lutmann

Leave a Comment