Il fenomeno sotto il suo aspetto psicologico
“La timidezza, fonte inesauribile di disgrazie nella vita pratica, è la causa diretta, anzi unica, di ogni ricchezza interiore”
Questo aforisma di Emil Cioran offre lo dello sport dal versante psicologico, spesso causa di cattive abitudini quali il doping.
Se non sapete cos’è, entrate in una palestra, osservate i praticanti e se il vostro sguardo si fermerà ammirato su uno di loro e sotto voce direte “… ma che muscoli esagerati!”: avete scoperto cosa vuol dire assumere sostanze dopanti. Uguale esperimento potete farlo anche d’estate, su ogni spiaggia.
Le sostanze dopanti molto spesso sono prodotti farmaceutici: assunti in dosi da cavallo, perdono la loro caratteristica terapeutica per acquisire quella dannosa di doping. Altre sostanze dopanti vengono sintetizzate in laboratorio e sono rappresentate da proteine e ormoni simili a quelli prodotti nel nostro corpo per il suo corretto funzionamento. Possiamo citare, tra i più usati per aumentare la masse muscolare, gli steroidi anabolizzanti e l’ormone della crescita (hGH).
Gli atleti di vertice scelgono il doping principalmente per grossi interessi economici personali, della propria società sportiva e degli sponsor: l’obiettivo è tentare di spostare l’avvio della fase discendente della carriera, dovuta all’inevitabile passare degli anni e al sopraggiungere di atleti più giovani che cercano di farsi strada. È giusto parlare anche del “fattore ombra” che cala sull’immagine fino a quel momento sulle prime pagine di giornali e televisione. Detto ciò, stupisce meno se l’atleta ricorre all'”aiutino”, possibilmente assistito da specialisti compiacenti senza scrupoli che calcolano perfino i tempi fisiologici per eliminare le sostanze introdotte, onde evitare la positività al controllo antidoping.
Naturalmente i danni fisici e psicologici restano in tutta la loro gravità. In questi contesti viene contemplata l’accettazione del rischio sportivo: qualora un atleta venisse trovato positivo al controllo, incorre in squalifiche fino a due anni se la cosa si ripete c’è la squalifica a vita. Mi piace sottolineare che i controlli sono eseguiti da personale altamente qualificato ed eticamente scrupolose, perciò qualora un atleta venga dichiarato positivo è realmente positivo: dire che c’è stato un errore nelle analisi è solo tentare di “salvare le faccia”.
Comunque assumere sostanze dopanti, che possono migliorare illecitamente la prestazione di un atleta, resta qualcosa che nulla ha a che fare con lo sportivo vero che rispetta l’avversario e non ha bisogno di imbrogli per godere pienamente della sua vittoria.
Diversa cosa è il doping riferito ad atleti dilettanti o a livello amatoriale. Difficilmente un dilettante che ricorre, già all’inizio della carriera, a questa pratica arriverà mai da qualche parte: non ha la materia prima, un cervello, indispensabile per gestire un evento ad alto livello.
Però, il fenomeno si presenta in tutta la sua drammaticità tra I giovani che praticano sport nelle palestre. Ciò non significa evitare di frequentarle: sono luoghi dove indirizzare le persone per una sana, necessaria e benefica attività sportiva (lo sapevate che un’ora per tre volte la settimana di attività fisica regola al ribasso la pressione del sangue, proprio come una dose minima di farmaco?). Ma a volte chi va in palestra non ricerca il benessere fisico bensì risposte sbagliate per compensare frustrazioni, disagi e insicurezze.
Ecco allora che, come nello sport professionistico si può trovare il medico compiacente, anche qui in palestra ci può essere qualcuno senza scrupoli che ti propone di diventare come lui, che con i muscoli ha superato la timidezza, che con i muscoli ora non teme più la rivalità fisica degli altri e soprattutto e più guardato dalle ragazze.
Francesco Strano
tratto da Konrad n.144 del marzo 2009