Ho conosciuto Natallja Pinčuk dieci anni fa. Suo marito, Ales Bialiatski, difensore bielorusso dei diritti umani, fondatore e presidente del centro per i diritti umani Viasna, era stato ingiustamente arrestato e condannato a quattro anni e mezzo di carcere. Amnesty International aveva lanciato una campagna per la sua liberazione e avevamo invitato Natallja in Italia perché denunciasse la persecuzione del marito. L’avevo ospitata a casa mia a Trieste nel 2013, Natallja parlò agli studenti del liceo Petrarca e al caffè libreria Knulp e poi in Friuli e in altre località.
Grazie anche all’attivismo dei soci di Amnesty Ales fu rilasciato venti mesi prima del previsto. Lo incontrai nel 2014 in Sicilia, dove il consiglio comunale di Siracusa gli conferì la cittadinanza onoraria.
Con Natallja e Ales sono rimasto in contatto epistolare negli anni successivi. A Natallja, insegnante universitaria, non fu assegnato l’incarico che le spettava, non poteva essere diversamente per la moglie di un dissidente. Ales continuava a essere completamente immerso nel lavoro di Viasna e nella pubblicazione di diversi dei suoi libri.
Le contestate elezioni del 2020 riportarono alla presidenza Aljaksandr Lukašėnka, il dittatore al potere dal 1994. Le proteste di massa che seguirono furono segnate dagli interventi brutalmente violenti della polizia, da maltrattamenti e torture, uso illegale della forza, arresti arbitrari, sparizioni forzate, sequestri di persona e processi politici basati su accuse fabbricate. Viasna denunciò l’arresto di 150 giornalisti nella capitale Minsk e a Brest nel sudest del paese.
Ales fu nuovamente falsamente accusato e arrestato nel luglio 2021 assieme a Valiantsin Stefanovich, vicepresidente di Viasna e Uladzimir Labkovich, avvocato di Viasna.
Da Trieste chi aveva conosciuto Natallja, inviò messaggi di solidarietà:
– Sono indignata, furibonda. Mi vergogno per loro. In realtà non ho parole bastanti.
– Che angoscia. Cose che non dovrebbero essere possibili nel cuore dell’Europa.
-Povero. Ricordo l’intervista con la moglie, molto commovente.
-No! Non è possibile.
E Amnesty International: «Questo processo è un palese atto d’ingiustizia con cui lo stato bielorusso cerca di vendicarsi contro l’attivismo per i diritti umani… Chiediamo che le accuse siano rimosse e che i detenuti siano rimessi immediatamente in libertà».
Abbiamo accolto con gioia l’assegnazione nello scorso anno del premio Nobel per la pace ad Ales assieme all’ong russa per la difesa dei diritti umani Memorial e all’organizzazione ucraina Centro per le Libertà Civili. Il prestigio del premio Nobel non ha impedito però alla repressione bielorussa di comminare ad Ales, pochi giorni fa, una condanna a dieci anni di carcere. Ancora Amnesty: «Le condanne rappresentano un ulteriore colpo per la società civile bielorussa, già gravemente oppressa, e per la preoccupante situazione dei diritti umani nel paese. È un atto vendicativo di ingiustizia che richiede l’attenzione immediata della comunità internazionale ».
Natallja, nel dolore, denuncia ancora una volta che «è stato per le loro attività a favore dei diritti umani che sono stati processati».
Giuliano Prandini