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Pa Kua Chang

pakuachangdi Muzuo Bobbio

 

Nelle arti marziali cinesi ci sono decine e decine di stili esterni (Waiji, basati principalmente sull’aspetto fisico del combattimento e sulla deviazione degli attacchi) ma pochissimi sono quelli conosciuti come interni (Neiji, dove prevale l’allenamento spirituale ed energetico con lo spostamento del corpo dalla traiettoria dell’attacco) e di questi soltanto tre hanno assunto ampia notorietà internazionale: il Hsing I Chuan (Xingyiquan), Tai Chi Chuan (Taijiquan) ed il Pa Kua Chang (Baguazhang).

Il nome di quest’ultimo stile significa “palmo degli otto trigrammi” e la sua filosofia deriva direttamente dai testi classici cinesi. Nel Tao Te Ching (Daodejing) scritto fondamentale del taoismo, compilato, secondo la tradizione, nel quinto secolo a.C. dal famoso Lao Tse (Laoze), si può leggere: Il Tao generò l’Uno, l’Uno generò il Due, il Due generò il Tre, il Tre generò le diecimila creature.

Proviamo a spiegare questo passo: l’universo, dopo essersi coagulato, si suddivise in due princìpi (Yin e Yang) e, ogni cosa che esiste, vive fra questi due estremi come terzo punto intermedio.

Quindi, se noi consideriamo che ognuno di questi tre elementi possa essere sia Yin che Yang, otteniamo otto diverse combinazioni (due elevato alla terza potenza) che sono rappresentabili con tre linee orizzontali dove ognuna può essere continua (Yang) o spezzata (Yin) e se lo facciamo disponendoli in modo circolare (dove tutto fluisce con semplicità e ritorna ciclicamente) otteniamo il diagramma chiamato appunto Pa Kua (vedi l’immagine).

Probabilmente molti di voi conoscono il famoso I Ching (Yijing, il Libro dei Mutamenti) utilizzato soprattutto come strumento divinatorio e la cui origine si perde nella preistoria cinese (anch’esso entra a pieno titolo nel novero dei testi fondamentali del taoismo): il suo sistema si basa su sessantaquattro casi archetipali (anche con diversi sotto-casi) simboleggiati con esagrammi, dove ognuno di questi deriva dalla sovrapposizione di due degli otto trigrammi di cui abbiamo appena parlato (otto volte otto uguale sessantaquattro).

Come in ambito geografico vi sono quattro punti cardinali e quattro direzioni intermedie (per esempio la rosa dei venti o il famoso Feng Shui, l’arte geomantica cinese) così nelle arti marziali (anche in Giappone) sono considerate otto direzioni, sia per gli spostamenti che per la difesa e l’attacco.

Provate ora ad immaginare due contendenti che si studiano muovendosi in cerchio e che usano le otto direzioni per portare otto tecniche fondamentali in sessantaquattro combinazioni, se aggiungete una guardia molto laterale, con il braccio avanzato quasi completamente disteso verso l’avversario e la mano opposta che protegge in fianco, l’uso di colpire con il palmo piuttosto che con le nocche, le molte leve e l’assenza fondamentale di calci, avrete l’immagine del praticante classico di Pa Kua Chang.

La sua origine si perde fra molte e diverse leggende, una delle quali attribuita persino al famoso Bodhidharma (fondatore invece dello stile esterno Shaolin Quan) anche se non si capisce come un monaco indiano, patriarca di una corrente del buddhismo, abbia potuto concepire un’arte marziale basata sui concetti taoisti, tipicamente e profondamente cinesi.

Storicamente, a rendere noto questo stile, fu Dong Haichuan (nato a Zhujiawu, nel nord della Cina, ma trasferitosi a Pechino) negli anni ’60 del diciannovesimo secolo; oggi vi sono più di dieci fiumi che provengono da questa sorgente ed alcuni di questi sono presenti in altre città italiane, ma nella nostra regione vi sono pochi riferimenti, per i quali consiglierei, a chi dovesse essere interessato a questo stile tradizionale cinese, una ricerca in rete.

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