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Quello che ci portiamo dietro, Ivan Zampar
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Quello che ci portiamo dietro, Ivan Zampar

Vladimir Nabokov definiva cattivi lettori coloro che provano troppa empatia per quello che leggono. È una visione da tenere in considerazione – stiamo parlando pur sempre di Vladimir Nabokov – ma credo che per un lettore immergersi in un libro che parla anche di sé sia un’esperienza molto bella. Anche se non sempre è facile trovare libri che facciano questo effetto. E caso ancor più raro è quando a riuscire in ciò è una raccolta di racconti: come, una serie di storie diverse con luoghi e personaggi diversi, può riuscire a farci immedesimare? Questo è quello che è riuscito a suscitare a Ivan Zampar, con la sua raccolta Quello che ci portiamo dietro, edito da Besamuci ad Aprile 2022.

La raccolta di Zampar comprende nove storie brevi e conta poco più di un centinaio di pagine, ma, nonostante la brevità, l’intensità di queste narrazioni si percepisce sin dal primo racconto. Storie con vari scenari, protagonisti e ambientazioni – anche se il Friuli, terra madre dell’autore ritorna in alcuni di essi. La raccolta ha ben chiaro il filo conduttore che la guida, ed è qualcosa che ci segue in quasi tutti i racconti – forse in qualcuno più di altri; senza prendere mai toni troppo cupi, infatti, la nostalgia è il sentimento dominante che accompagna queste pagine, declinato in differenti forme e in differenti modi, rintracciabili in alcuni filoni: l’amicizia e le relazioni che cambiano con il passare del tempo, la disillusione dell’età adulta contrapposta al sogno giovanile e la memoria in generale, presenza costante che prende accezioni sempre nuove in base alla storia raccontata. La scrittura muta da racconto a racconto, ma possiede in ognuno una la capacità di restituirci immagini nitide e vive: oscillano dall’essere lirica alla brutalità dell’oggettività. In ogni storia però rimane questo modo grazioso di raccontare e mostrare assieme cosa non sempre è presente in racconti tanto brevi, e aiuta a entrare maggiormente in empatia con ogni storia.

Affascinante per me è stato vedere come Zampar ha interpretato il tema della gioventù e del passaggio alla vita adulta, presente in quasi tutti i suoi racconti. In queste pagine si respira la nostalgia della spensieratezza, accompagnata dalla disillusione della vita da adulti e la presa di coscienza che il passato è passato. Quella disillusione tipica delle generazioni di trentenni e quarantenni di oggi, descritta in maniera perfetta dall’autore. Forte è questo concetto nei racconti Vent’anni, Ninna-nanna in 4/4, Patagonia. In quest’ultimo Zampar dice una frase che racchiude il senso di questa carica di malinconia: «È così che gli anni sono passati. D’accordo, eravamo giovani, ma la gioventù alla fin fine è una gran fregatura. Ha davanti a te tutto il futuro del mondo, uno spazio aperto e sconfinato di possibilità, senza punti di riferimento, delimitazioni». O ancora in Ninna-nanna in 4/4 «Tradito? No, non credo che Luca si sia mai sentito tradito. A fregarci, lo sapevamo, era stato il tempo. Il tempo che passa e che, dopo essere stato rigoglioso futuro, appassisce diventando avvizzito presente».

Quelle di Zampar sono pagine dense di emozioni che però riescono sempre a non cadere nello smielato, e ha costruito una raccolta che ha scelto di mettere queste emozioni al centro della sua narrazione, che racconta sfumature e tratteggia i rapporti umani della nostra epoca.

 

Giorgia Chiaro

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