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Cosa succede in Iran?

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Cosa succede in Iran?

Uno sguardo su un paese che cerca il cambiamento

di Cristina Rovere

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Cristina Rovere ha scritto questo articolo a grandissima richiesta dopo il partecipato incontro “Welcome to Iran” in cui ha dato un quadro storico e attuale del paese. L’incontro pubblico si è tenuto il 16 gennaio scorso nella  sede di Konrad, nell’ambito dei “Venerdì di Konrad”.

 

 

 

Follow the money. Segui i soldi. Un adagio ripetuto spesso in questi ultimi decenni. Bisogna seguirlo anche per tentare di comprendere le proteste svoltesi in Iran a fine dicembre 2017.

Vediamo, in breve, i precedenti.

Nel 2013 il neoeletto presidente Hassan Rohani aveva ereditato dal suo predecessore (l’ultra-conservatore Mahmoud Ahmadinejad) una situazione economica disastrosa. L’inflazione era al 40%, la moneta (il riyal) in caduta libera, la disoccupazione ai massimi storici. Senza contare che Ahmadinejad aveva distribuito a pioggia sussidi di povertà pur di assicurarsi una solida base di consenso elettorale.

Nei quattro anni del suo primo mandato presidenziale Rohani è riuscito a riportare l’inflazione sotto il 10%, a far risalire il valore della moneta, a ridurre il tasso di disoccupazione. Infine, cosa molto importante, nel 2015 si era portato a casa lo storico accordo sul nucleare firmato con i paesi del cosiddetto “5+1” (i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con potere di veto ossia Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina più la Germania). I paesi occidentali hanno concesso di eliminare progressivamente le sanzioni economiche imposte all’Iran, mentre questo ha accettato di limitare il suo programma nucleare e permettere controlli da parte dell’ONU alle sue installazioni nucleari. Questo ha tolto l’Iran dall’isolamento economico.

Nell’estate del 2017 Rohani è stato rieletto con un programma che prevedeva una riforma strutturale dell’economia. I punti cardine erano la riduzione del numero di sussidi di povertà ottenuta tramite l’introduzione di una dichiarazione dei redditi per evidenziare i reali bisogni, la lotta alla corruzione e l’introduzione di nuove tassazioni.

Chi viene negativamente toccato da questo tentativo di riforma e ha interesse a mantenere lo status quo?

Innanzitutto l’esercito dei Guardiani della Rivoluzione e le pie fondazioni (obiettivo delle nuove tassazioni, visto che fino ad oggi non hanno mai pagato tasse di alcun tipo) inserite e protette all’interno dello stato, nonché le fasce della popolazione che negli anni hanno goduto di sussidi economici elargiti senza alcun criterio.  

L’esercito dei Guardiani della Rivoluzione – sepah pasdaran – che gli iraniani chiamano semplicemente “sepah” cioè “esercito”, nasce nel 1979 all’indomani della rivoluzione di Khomeini per difendere la neonata Repubblica Islamica e fare da contrappeso all’esercito classico (i golpe sono sempre dietro l’angolo). Nel tempo è cresciuto fino ad avere una sua aviazione e marina. Ha consolidato la sua forza durante la sanguinosa guerra Iran-Iraq (1980-88), quando al fronte mandava anche ragazzini che si arruolavano nelle file dei Basij: un suo sottoinsieme su base volontaria. Ancor oggi per le strade si vedonpo appese ai pali della luce le immagini dei giovani “martiri” (è così che vengono chiamati) di quella insensata guerra. Successivamente la sepah pasdaran si è ulteriormente rafforzata grazie all’aperto sostegno dell’attuale Guida Suprema, l’ayatollah Khamenei.

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Foto: martiri della guerra Iran-Iraq

L’ayatollah Khomeini nel suo testamento politico aveva raccomandato che la sepah pasdaran non entrasse mai in politica. Le cose sono andate diversamente. I pasdaran esprimono e sostengono candidati alle presidenziali e al parlamento, e sono stati attivi nelle repressioni di piazza, come quella del 2009 in cui a Tehran la società civile moderata chiedeva maggiori libertà e giustizia sociale.

Le pie fondazioni sono nate sempre nel 1979 con il fine di aiutare i bisognosi, e gestire moschee e santuari. Oggi sono poche quelle che si dedicano unicamente a scopi benefici, ma la gran parte fa affari, beneficiando di grosse agevolazioni: non pagano tasse, ricevono contributi statali, non hanno l’obbligo di rendicontazione e rispondono solo alla Guida Suprema del paese, l’ayatollah Khamenei.

Sono circa un centinaio con fatturati che costituiscono il 20% del PIL nazionale proveniente da introiti non petroliferi. Hanno industrie tessili, alimentari, di vetro e ceramiche, hanno banche e immensi patrimoni immobiliari. Su tutti i loro introiti non pagano alcuna tassa, anzi ricevono fondi statali.

Tra questi istituti il più importante è la Fondazione degli oppressi e dei disabili. Nata dagli asset della Fondazione Pahlavi che l’ultimo shah si era creato per mettere al sicuro il patrimonio personale, è una delle maggiori holding del Medio Oriente. È un colosso del settore agro-alimentare con marchi come la Zam Zam Cola che domina il mercato interno delle bevanda gasate. Si dice che chi l’amministra sia più potente del ministro delle finanze e del direttore della banca centrale iraniana.

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Zam Zam Cola

Merita anche menzionare la pia fondazione Astan Quds Razavi. Ha sede nella città santa di Mashhad dove possiede la licenza per imbottigliare (e vendere) la Coca Cola e in cui possiede la gran parte del patrimonio immobiliare. A capo di questa fondazione c’è Ebrahim Raisi, candidato ultra-conservatore sconfitto da Rohani alle ultime elezioni presidenziali. Non stupisce, quindi, che le prime manifestazioni contro Rohani si siano svolte proprio in questa città.

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lattine di Coca Cola prodotte in Iran

Torniamo alle manifestazioni di fine dicembre 2017. A metà del mese il presidente Rohani ha reso pubblico il bilancio dello stato rivelando quante risorse pubbliche venissero destinate ai sussidi, al mantenimento di una burocrazia elefantiaca e ai contributi all’esercito dei pasdaran e alle pie fondazioni. Ecco, quindi, che le persone toccate dalla pubblicazione di tali dati e dalle misure che Rohani ha intenzione di intraprendere sono scese in piazza a protestare in città come Mashhad e Qazvin, roccaforti dei partiti conservatori.

Le prime scintille hanno innescato un incendio fuori controllo. Infatti le fasce conservatrici “povere” hanno sì manifestato nel vedersi ridurre i sussidi, ma si sono spinte anche al di là, contestando la Guida Suprema, protettore dei pasdaran e delle pie fondazioni. Quest’ultime hanno invece rivolto la loro rabbia nei confronti del presidente Rohani, reo di voler metter mano alle loro tasche.

È ancora presto per capire cosa accadrà in Iran. Vedremo se Rohani riuscirà a far pagare le tasse alle pie fondazioni e a mettere in piedi un equo sistema di ammortizzatori sociali.

L’Iran è un paese dinamico e, nonostante un sistema dello stato di per sé complicato e appesantito da poteri interni, contro-poteri e lobby, ha visto sempre una dinamica alternanza politica tra moderati, conservatori o ultra-conservatori.

Questo dinamismo lascia ben sperare per il suo futuro.

 

 

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1 comment

Bianca Guareschi 29 Gennaio 2018 at 12:46

La situazione politica attuale di un paese bellissimo (dove ritornei domani), illustrata in un articolo sinetico e chiaro
Brava la nostra Cristina Rovere

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