Prima fiaba, primo sogno. C’era una volta un giovane taglialegna che era innamorato di una ragazza, che divenne la sua promessa sposa. Tutto andò liscio finché – come in ogni fiaba che si rispetti – non sopraggiunse l’inevitabile “ma”. La ragazza, più giovane di lui, decise di lasciarlo proprio il giorno prima del matrimonio. Indecisione, capriccio, ripensamento: nessuno saprà mai la verità. O forse, molto semplicemente, la ragazza sentiva che il giovane taglialegna non l’avrebbe resa felice: era troppo chiuso, troppo strano per i suoi gusti. Il ragazzo, avvilito e disperato, andò a cercare fortuna altrove. Giunse così in terre lontane e fredde, dove si immerse nel lavoro per dimenticare le sue sventure. Tanto fece che si ammalò, e così se ne andò verso sud, dirigendosi verso luoghi più adatti alla sua salute. Finalmente trovò un paesino che faceva per lui: un posto caldo e senza troppa gente, tra l’altro perfetto per il progetto che aveva in mente. Si, perché l’umile taglialegna aveva un sogno: riconquistare la sua ragazza, a qualunque costo. Per fare questo avrebbe dedicato anima e corpo a un’impresa talmente grande, talmente folle da sembrare impossibile. Piccolo e magro ma ricco di ingegno cominciò a tagliare e a scolpire enormi blocchi di pietra. Più erano grandi e più era contento, perché solo così la sua impresa sarebbe apparsa davvero stupefacente.
Passò molti anni della sua vita, tutto solo, facendo il taglialegna di giorno e lavorando nel tempo libero, compresa la notte, scolpendo e spostando le immani pietre per riconquistare il cuore della sua amata, che sperava non fosse altrettanto di pietra. Fra il vicinato correva voce che il giovane fosse dotato di misteriosi poteri, o che lo aiutassero gli spiriti, tanto sembrava impossibile che un piccolo uomo come lui potesse realizzare un’opera così stupefacente. Una torre, colossali raffigurazioni della luna e dei pianeti, archi di pietra degni di un gigante e come porta d’ingresso al singolare giardino di pietre un immane roccia realizzata con tale maestria che si apriva con un dito… Eppure il taglialegna non possedeva alcun potere magico, se non quello della determinazione e dell’amore. Un giorno, molto tempo dopo, così come se ne era venuto, il taglialegna se ne andò, questa volta per sempre, e nessuno lo rivide mai più. Rimasero, mute testimoni della sua passione e della sua tenacia, le sue enormi architetture di pietra.
Seconda fiaba, secondo sogno. C’era una volta un postino, figlio di un panettiere. Un giorno, dopo aver consegnato la posta, cammina che ti cammina giunse a un fiume. Nel fiume lo aspettava da millenni un ciottolo dalla forma singolare. Il giovane lo raccolse quasi senza pensarci.
Come una folgore un’idea illuminò la sua mente, e si riempi le tasche di sassi. Così fece l’indomani e nei giorni che seguirono, finché non decise di prendere in prestito una carriola. Cataste di pietre si accumulavano nel suo giardino, ma non bastavano ancora: il suo sogno era più grande di qualunque mucchio di sassi avesse mai visto. Lui, di umili origini, si sarebbe costruito un palazzo più ricco e sontuoso di qualunque re.
Pietra su pietra, mattone su mattone, statua su statua, il palazzo avrebbe preso forma. Poco importava se i tempi sarebbero stati lunghissimi e il lavoro molto duro: non c’era nessuna fretta, e, come tutti sanno, nelle fiabe il tempo non esiste, scorre a modo suo, cent’anni possono essere un giorno e un giorno cent’anni. Nessun architetto, nessun ingegnere, nessun operaio. Il postino non poteva permettersi nulla di tutto questo, e nemmeno gli interessava. Gli bastava osservare le illustrazioni delle cartoline che continuava a consegnare, per trovare ispirazione in quello che stava costruendo. Un po’ di Egitto, un po’ di Oriente, un pizzico di Europa… il mondo era pieno di sfingi e cattedrali, templi, palazzi e colossi di pietra. Il postino desiderava che il palazzo del suoi sogni fosse qualcosa di unico, di mai visto prima, e per questo avrebbe contenuto in sé tutte le architetture mai costruite dagli esseri umani. Il palazzo fu terminato in un giorno solo del tempo delle fiabe, ovvero trentatré anni del tempo normale. Il postino ne fu soddisfatto, e visse felice e contento fino alla fine del suoi giorni.
Terminate queste due brevi fiabe, posso rivelarvi un piccolo segreto: sono storie autentiche.
Il taglialegna era un tale Edward Leedskalnin (1887-1951), originario della Lettonia. Dopo essere stato lasciato dalla fidanzata, emigrò in Canada prima e in California dopo, a Homestead, presso Florida City, dove realizzò Il suo “Rock Gate Party”, ora ribattezzato “Coral Castle”. (Per ulteriori notizie: www.bazardelbizzarro.net/coral_castle.html)
Il postino era il francese Ferdinand Cheval (1836-1924). Il suo “palais idéal” si può tuttora visitare nella cittadina di Hauterives, e dopo un recente restauro è divenuto meta turistica e sede di eventi artistici e musicali. (Se volete saperne di più: www.bazardelbizzarro.net/ferdinand_cheval.html).
Morale della favola? Beh, non venite a dirmi che non avete la vostra Stonehnge la vostra Tenochtitlàn personale nel cassetto. Ovviamente dobbiamo tenere conto della burocrazia e del piano regolatore, e del resto non so se al mondo ci sia posto per 6 miliardi di “palazzi ideali”. Non so nemmeno se a tutti noi importi ricevere l’Oscar o il Nobel, e finire nella hit parade o sul Guinness dei Primati. Una grande impresa può essere quella di scalare il K2 in solitaria, come anche realizzare la migliore torta di mele del vicinato.
La grande impresa che vi propongo di compiere ora è di liberare tutti gli oggetti, gli strumenti e le idee che teniamo indebitamente in ostaggio: fuori quindi le penne dagli astucci, le tavolozze dai cassetti e i violini dagli armadi. Tutte cose che abbiamo usato sì e no un paio di volte, e poi abbiamo accantonato – magari per paura di rovinarle. Invece le cose sono nate per essere adoperate e consumate senza ritegno. Anche i sogni e i progetti devono volare liberi, e non restare tenuti in cattività dentro un dimenticatoio.
Qualunque sia la nostra abilità e il nostro talento, fosse anche semplicemente quello di vivere, l’importante è, come diceva un vecchio obnauta di mia conoscenza, “non lasciare la Ferrari in garage”.
E non importa se non diventeremo mai ricchi né famosi: poter vivere la propria fiaba è di per sé una ricompensa.
Francesco Gizdic
www.bazardelbizzarro.net
tratto dal Konrad numero 166 pubblicato ad Aprile 2011