di Giovanna Augusta de’ Manzano
Scelte che plasmano il mondo. Il terrore e sofferenza negli allevamenti lager entrano nella nostra vita quotidiana. Evitiamoli.
«Pitagorico» veniva nominato chi non si nutriva di animali. Seguirono e seguono tale scelta, non solo alimentare, Platone, Seneca, Leonardo Da Vinci, Giordano Bruno, John Frank Newton, Albert Einstein, Tiziano Terzani, Margherita Hack, Moni Ovadia, Umberto Veronesi, Martina Navrátilová e altri.
Per Ghandi “la grandezza di una nazione e il suo progresso morale possono essere giudicati dal modo in cui vengono trattati gli animali”; per qualcun altro il progresso morale di una nazione si vede dalle condizioni delle carceri, o dalla legge mortuaria in vigore.
Vite eccellenti a parte, uno degli ultimi libri sul tema dell’industria zootecnica è il recente Farmageddon (Edizioni Nutrimenti, febbraio 2015) scritto da Philip Lymbery, presidente di una storica associazione ambientalista britannica. Un libro-denuncia su quello che ci troviamo quotidianamente nel piatto, sulla violenza e la sofferenza inferta non solo ai singoli animali, ma a tutto l’ecosistema. Lungi dall’essere un testo che cerca proselitismi pro vegan, mette a nudo, dati alla mano, le conseguenze del cibo low-cost.
Un foglio A4 è lo spazio che ha a disposizione una gallina di allevamento in più o meno tutto il mondo: spazio per mangiare, per dormire (quando le luci artificiali glielo consentono), per crescere il doppio della velocità naturale, imbottita fino al punto di non reggersi più in piedi, con il becco tagliato a laser per non autolesionarsi causa disperazione: le convulsioni per sindrome da morte improvvisa sono un disturbo totalmente sconosciuto al di fuori degli allevamenti intensivi. Puzza insopportabile e pozze di liquami impossibili da smaltire sono gli ambienti in cui si allevano bovini, suini e pollame, le cui deiezioni rappresentano una delle principali cause di emissione dei gas serra. La fine di queste torture si ha nel mattatoio, anzi no: più che aprirsi quel «cielo», luogo di sublimazione teologica di tutte le sofferenze, qui si apre un nuovo capitolo di violenza, dove gli animali a volte non ricevono nessuno stordimento prima di venir macellati, dove gli incidenti sul lavoro sono tra i più numerosi in assoluto e dove gli atti di sadismo -a furia di pratica di un lavoro disumanizzante- sono incontrollati. Negli allevamenti di pesce la situazione è simile.
Deforestazione, riscaldamento globale, inquinamento, danni ingenti alla salute pubblica: sono queste le conseguenze del maltrattamento degli animali più sistematico mai avuto nella storia dell’umanità.
L’alternativa esiste ed è, quantomeno, una scelta onnivora consapevole: ai prodotti da allevamenti intensivi preferire i prodotti da allevamento familiare etico e sostenibile, lì dove non solo il biologico ma anche la possibilità di un contatto più o meno diretto con l’allevatore può essere garanzia di controllo e qualità.
Se ci nutriamo di corpi torturati, di uova di galline che mai sono state all’aria aperta, di latte di mucche deformate a tal punto da essere irriconoscibili, sempre più «quel corpo torturato sta diventando il nostro», come dice Jonathon Foer in Se niente importa. Perchè mangiamo gli animali.
Margherita Hack, vegetariana dalla nascita, anzi fin dal grembo materno, nel suo libro Perchè sono vegetariana paragonava i lager degli allevamenti intensivi alla condizione animale vissuta dai prigionieri alla Risiera di San Sabba.
Chi scrive si chiede se un’alimentazione di tale provenienza sia causa o con-causa determinante di comportamenti sociali a loro volta violenti e deviati, che trovano ovvio terreno fertile in quello stesso sistema di credenze patriarcali causa dell’alchimia distruttiva che sta interessando il pianeta: la negazione del sacro Femminile. Se è scientificamente provato che alcool e droghe alterano il comportamento, va da sè che cibarsi di carne o latte impregnati di angosciante panico parimenti influenza salute, umore e dinamiche sociali.
«Se niente importa», tutto può essere permesso senza limite alcuno, dalla violenza del nostro compagno che ci insulta e ci stordisce con patologiche bugie sbattendo le porte, agli spasmi dei bovini che vengono dissanguati e scuoiati ancora coscienti. Forse entrambi i due, privati ormai della loro natura selvaggia, sono uniti dallo stesso terrore esistenziale. Fatto sta che le nostre scelte plasmano il mondo: scegliamo quindi un po’ meglio.