Per questo numero di Konrad farò una pausa nel descrivere le arti marziali tradizionali cinesi per parlarvi di un metodo di combattimento moderno che da queste deriva, ma assai poco conosciuto se confrontato alla notorietà del suo creatore.
Nato a San Francisco nel 1940 con il nome di Jun Fan, a soli tre mesi ritornò con i genitori nella loro città di origine (Hong Kong) dove presto il padre cercò di insegnarli il Tai Chi, assai poco adatto al carattere particolarmente esuberante ed alla particolare rapidità di movimenti del ragazzo che preferiva misurarsi nelle strade con i suoi coetanei.
Per queste sue caratteristiche e per il fatto che il suo anno di nascita, secondo la tradizione cinese, era quello del drago, ricevette in famiglia il nomignolo, con cui sarà conosciuto anche in seguito, di “Piccolo Drago”.
All’età di 16 anni entrò nella scuola di Yip Man (di cui abbiamo parlato nel numero scorso) che dovette lasciare a 18 quando i genitori, preoccupati che il suo ribollente spirito rovinasse la loro reputazione borghese, lo rimandarono negli USA dove a breve (1959) vinse il campionato intercolastico di boxe.
Il fratello minore lo introdusse alla scherma occidentale, ma qualunque sistema di combattimento lo interessava al fine di comprenderne i principi, tra cui gli stili di Kung Fu del nord della Cina, le maggiori artimarziali giapponesi, indonesiane ed altre ancora.
Senza trascurare lo studio dei metodi scientifici occidentali di allenamento, nel 1965 creava il suo primo metodo di combattimento denominato Jun Fan Gung Fu, che, in continua elaborazione, diventò Jeet Kune Do (la via del pugno che intercetta) nel 1967 e che continuò ad elaborare sino al 1973, anno della sua prematura e misteriosa morte.
Nel 1970 un grave incidente lo costrinse ad un lungo periodo di immobilità a letto ma egli ne approfittò per conoscere le filosofie orientali indiane, il taoismo, il buddismo e la filosofia del pragmatismo e ad includere nel suo progetto marziale i concetti che meglio gli si confacevano: i più avranno ormai capito che stiamo parlando di Bruce Lee.
Della sua eredità marziale sono rimasti tre filoni:
– il Jun Fan Gung Fu, una sorta di Wing Tsun modificato;
– il Jun Fan Jeet Kune Do (detto anche “Jeet Kune Do Original“) ovvero la sua personale elaborazione, sino alla data della sua scomparsa;
– il Jeet Kune Do Concepts, che non vuole “fotografare” un’arte marziale statica (come la maggior parte di quelle giapponesi) ma lasciare ad ogni marzialista il semplice concetto della continua ricerca partendo da sedici principi di base.
Lo spazio mi impedisce di riportarli per intero in questa pagina, ma questi principi potete trovarli in rete o nel libro postumo che sua moglie Linda ha voluto realizzare in suo ricordo, dall’ovvio ed omonimo titolo di “Jeet Kune Do”.
Vorrei solamente riportare pochi dei suoi aforismi:
– Il miglior combattente non è un pugile, un karateka o un judoka: il miglior combattente è qualcuno che si può adattare a qualsiasi stile di combattimento.
– Il JKD rifugge dal superficiale, penetra nel complesso, va al cuore del problema e ne individua i fattori chiave.
– All’inizio credevo che un pugno fosse soltanto un pugno e un calcio soltanto un calcio, poi, studiando arti marziali, ho capito che un pugno non è solo un pugno e un calcio non è solo un calcio; soltanto alla fine ho capito che un pugno è soltanto un pugno e un calcio soltanto un calcio.
Quest’ultimo è l’aforisma che preferisco, ma confrontatelo con questo proveniente dal buddismo Zen: “Prima di conoscere lo Zen, le montagne sono montagne e i fiumi sono fiumi; quando si conosce lo Zen, le montagne non sono più montagne e i fiumi non sono più fiumi; quando si è compreso lo Zen, le montagne sono ancora montagne e i fiumi sono ancora fiumi”.