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Ripensare al benessere nei luoghi di lavoro
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Ripensare al benessere nei luoghi di lavoro

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Il 10 ottobre è la Giornata Mondiale della Salute Mentale. Istituita nel 1992 per sensibilizzare l’opinione pubblica su temi legati alla salute mentale pone per quest’anno l’accento sull’importanza di creare ambienti lavorativi che favoriscano il benessere psichico, contrastino lo stress e le altre problematiche che possono emergere in ambito professionale. Ma affinché tale tema sia interessante per il mondo economico e finanziario si tratta di comprendere in che modo può fare bene anche alla vita delle imprese.

Quando si parla di benessere il concetto può essere soggetto a diverse interpretazioni in base ai valori di riferimento presenti in un contesto di epoca in epoca. Fino a non molto tempo fa, in piena era neoliberista, si dava per scontato che il grado di benessere di un paese e quindi dei suoi cittadini, fosse quasi esclusivamente correlato al PIL di quello stesso paese. Questo indice evidenzia il valore della produzione interna lorda; il rapporto tra la produzione interna lorda e il numero dei cittadini esprime il reddito pro capite. Quindi secondo questa logica più è alto il PIL maggiore è il reddito pro capite, maggiori sono le disponibilità di spesa per soddisfare necessità e desideri e quindi più alto è il livello di benessere. Se questo fosse vero dovremmo, per lo meno in occidente, vivere un’epoca d’oro in termini di benessere fisico e mentale. Secondo i parametri della cultura neoliberista il benessere era considerato solo dal punto di vista materiale, della produttività, espressione del fare. Più si fa e più si ottiene in termini quantitativi. E molto si è investito a tal fine per migliorare tempi, metodi e processi produttivi.

Ci si è poi finalmente accorti che il concetto di benessere è molto più ampio e include oltre al fare anche la dimensione dell’essere. Il Big Quit fenomeno noto anche con il nome di “grandi dimissioni”, che ha interessato anche l’Italia, è in parte espressione del cambiamento di paradigma in atto che è esso stesso connesso alla necessità di esprimere e conoscere la propria umanità non solo sul piano del fare ma anche sul piano dell’essere. “Dateci pane ma dateci anche le rose”, recita il testo di una canzone. L’essere umano ha bisogno di due diversi tipi di “nutrimento”: per il corpo e per l’anima. Le rose rappresentano la bellezza, e la bellezza è il cibo dell’anima.

Queste “dimissioni di massa” sono la risposta, non sempre esaustiva ma di certo adattiva, di uno stato di malessere e insoddisfazione sia in termini quantitativi – redistribuzione e ritmi di lavoro – che qualitativi – stili gestionali, relazioni interne, possibilità di crescita professionale, possibilità di conciliare vita e lavoro, età pensionabile adeguata alla tipologia di lavoro – entrambi questi aspetti, quantità e qualità, importanti per lo sviluppo di un sistema individuale e gruppale.

La parola “qualità” etimologicamente pone attenzione sul modo di lavorare e il modo è espressione dei valori e della cultura presenti in un sistema quale una impresa, una comunità o una nazione. E in quale modo si lavora oggi? Quali valori sono al centro della sfera economica e delle politiche nazionali e globali? E questi valori sono allineati con i bisogni avvertiti dai lavoratori, dai cittadini e con i bisogni avvertiti a livello globale? Mettiamo qui a confronto i vecchi valori con quelli emergenti in questa nuova epoca:

Valori della vecchia era

Crescita, Quantità, Indipendenza, Successo, Rapporti vantaggiosi, Desiderio e Piacere, volontà forte, Controllo e sfruttamento della natura.

Valori della Nuova era

Sostenibilità, Valori, Qualità, Interdipendenza, Servizio, Retti rapporti, Volontà di bene, Rispetto della natura.

Negli ultimi decenni si è investito molto per migliorare e ottimizzare la produttività, per “ottenere” di più ma non possiamo dire altrettanto rispetto al miglioramento della qualità del lavoro e alla possibilità di conciliare vita e lavoro. Troppo cibo per il corpo e troppo poco cibo per l’anima. E di fatto in questa epoca le anime soffrono nonostante i bisogni primari siano per lo più abbastanza soddisfatti.

Quindi è importante riportare l’attenzione anche alla dimensione dell’essere; riconoscere l’importanza del mondo interiore oltre che di quello esteriore, della dimensione dello Spirito oltre che della materia. Cosa implica la dimensione dell’essere? Come dare attenzione alla dimensione dell’essere? Questa dimensione è la dimensione della coscienza che si sviluppa anche attraverso lo sviluppo delle soft skills. Cosa sono? Sono quelle abilità interpersonali, comunicative e sociali che influenzano, nel bene e nel male, il modo in cui si lavora e ci si relaziona con gli altri in ogni sfera di vita. Le soft skills sono note come abilità trasversali, nel senso che sono spendibili in ogni sfera di vita e contesto. A ben vedere oggigiorno abbondano i corsi sulle soft skills perché si è capito che se ad esempio migliorano le abilità comunicative e di gestione dello stress possono migliorare le vendite, si riducono i costi per malattia e i costi collegati al turn over. Ma è importante comprendere che se i corsi di sviluppo delle soft skills che i collaboratori frequentano possono portare un vantaggio all’azienda in termini quantitativi se tutto si ferma lì, nel considerare il vantaggio e tornaconto economico, la sostanza non cambia perché rimane l’attenzione sul piano materiale e di incremento del PIL.

Quindi abbiamo anche bisogno di leader “illuminati”, consapevoli, dotati di una volontà di bene, oltre che di volontà forte, che siano disposti a cercare modalità che possano conciliare bisogni dell’azienda e dei lavoratori, favorire il benessere dei singoli e dell’impresa.

Quali sono le soft skills che abbiamo bisogno di integrare a ogni livello della gerarchia economica e sociale? Ne elenco alcune che sulla base della mia esperienza professionale ho riscontrato essere utili:

  • acquisire una visione sistemica e consapevolezza olistica rispetto ai bisogni e obiettivi dei diversi stakeholders e dei diversi regni di natura,
  • sviluppare abilità di comunicazione nonviolenta e di ascolto attivo,
  • migliorare la gestione dello stress e dei conflitti,
  • favorire retti rapporti, (retti rapporti non significa rapporti politicamente corretti)
  • consapevolezza del livello di coerenza comunicativa verbale e non verbale sia individuale che aziendale e sociale anche rispetto,
  • sviluppare la creatività e l’attitudine a creare armonizzazione a diversi livelli.

Vediamo ora alcune pratiche sia di politica sociale e aziendale che possono favorire il benessere dentro e fuori il mondo del lavoro:

  • attuare pratiche di fidelizzazione a favore dei collaboratori collegate ai bisogni degli stessi,
  • diverse tipologie e pratiche di welfare,
  • garantire stipendi adeguati al costo della vita,
  • offrire formazione sia nelle hard skills che soft skills,
  • valutare la possibilità di maggiore flessibilità non solo a vantaggio dell’impresa ma in un’ottica di reciprocità e di conciliazione vita e lavoro,
  • coltivare una maggiore consapevolezza e coerenza valoriale, anche rispetto ai valori della nuova era, anche attraverso forme di agevolazioni fiscali.

Simonetta Marenzi

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