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Società e Diritti

La sindrome del gattopardo

Tempo di Lettura 3 Minuti

– di Simonetta Marenzi-

La fotografia di un’Italia che sceglie il baratro

IlGattopardo

Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi” questa è la frase con cui Giuseppe Tomasi de Lampadusa, nel suo celebre romanzo “Il gattopardo”, sintetizza l’immutabilità sottesa ai cambiamenti, politici e sociali. Al sorgere di ogni nuovo Governo, le speranze rinnovate e  puntualmente disattese, finiscono con lo stroncare ogni energia di rinnovare e di rinnovarsi. Quando ogni residuo di fluidità “evapora”, il paesaggio economico si secca e si sbriciola. In questa metafora la polvere è oggi rappresentata da un debito pubblico salito a quota 135% rispetto al Pil. Che significa? Immaginate di avere un contratto un debito 135 volte superiore alla vostra capacità di racimolare quella somma attraverso il vostro lavoro. Impossibile ripagarlo, a meno di contare su una vincita improvvisa o sulla morte di qualche ricco parente. Entrambe queste possibilità sono precluse ad uno Stato. Ciononostante c’è una parte d’Italia che continua a chiedere uno stop all’austerity. Provate a chiedere ad un padre o madre di famiglia di sfamarvi a salmone e champagne quando in dispensa c’è di che fare a malapena una zuppa. Ma che c’entra tutto ciò con la sindrome del gattopardo? C’entra eccome! Perchè questa situazione è una conseguenza del modo di pensare e di agire diffuso. I governi si succedono, i nomi di presidenti e ministri cambiano, le strategie monetarie si modificano, eppure il nostro Paese arranca sempre più. Siamo ancora ingenuamente e superbamente convinti che esistano in politica supereroi che ci possano salvare da decenni di sprechi di risorse finanziarie e patrimoniali, senza peraltro chiederci di rivedere le nostre abitudini. Ciò che temiamo più di tutto è il cambiamento. Una parola che contiene il suffisso “mento”, e chi pratica le arti marziali sa bene che lì dove è rivolto il mento tende a spostarsi il corpo, e quindi l’attenzione e l’intenzione. Il cambiamento non deve intendersi come una strategia di sviluppo delle infrastrutture o un meccanismo più efficace di spending review, e nemmeno un inasprimento delle norme sull’evasione fiscale. Qualunque riforma in tal senso finisce in polvere se non c’è una presa di coscienza sulla corresponsabilità, da parte di tutti, anche di chi fa calcoli strategici in vista di future elezioni. Il sistema burocratico italiano è divenuto così macchiavellico proprio perchè la sua funzione principale era di mantenere uno stato inalterato delle cose. Il Presidente della BCE, Mario Draghi, ci sta dando una grande opportunità grazie ad un ulteriore taglio dei tassi e ad azioni di sostegno all’economia. Le banche riceveranno nuova liquidità e si libereranno di crediti incerti, e avranno nuove somme disponibili da mettere in circolo. Affinchè questo avvenga è necessario che la mentalità italiota si faccia da parte. Se questi denari non verranno riversati nell’economia attraverso crediti alle imprese e alle famiglie e se questo non sarà preceduto da una serie di riforme strutturali quali lo snellimento burocratico, mirato a favorire l’operatività economica e gli investimenti di capitali, la lotta alla corruzione – che agisce da leva a favore degli investimenti e della fiducia – la revisione del cuneo fiscale (divario tra quanto costa un dipendente all’azienda e quanto il dipendente percepisce di stipendio netto) e da una revisione dell’imposizione fiscale a favore delle piccole e medie imprese che hanno sede legale, amministrativa fiscale e produttiva in Italia, non ci sarà un’ulteriore possibilità di ripresa per il nostro Paese. Non è catastrofismo, ma realismo. Cambiamento, oggi, significa abbandono di una mentalità votata al clientelismo e alla mancanza di una meritocrazia reale; significa anche abbandonare la tendenza paternalista dello Stato di allungare la sua ala protettiva verso aziende che sono sull’orlo del fallimento, ritardandone l’agonia senza creare una prospettiva concreta per i lavoratori. Cambiamento significa inoltre tutelare il nostro patrimonio culturale ed immobiliare ed inibire quella tendenza “mordi e fuggi” presente in molte attività economiche di sfruttare quanto sfruttabile in termini di risorse naturali ed “umane” lasciando poi che le scorie, i danni e le morti sul lavoro o per danno ambientale finiscano a gravare sulle casse dello Stato. Cambiamento significa porre un freno alle pensioni dorate, a tripli incarichi, ed alle finte invalidità di cui beneficiano alcuni. Cambiamento significa favorire la ricerca e lo sviluppo del sistema educativo, quali fondamenta di un Paese che vuole crescere.

Non esistono in politica, così come nella vita, eroi risolutori di ogni male ma esistono 60 milioni di persone che agiscono mosse dai loro istinti e desideri, talvolta altruistici, ma troppo spesso desiderosi di ricevere molto di più di quanto siano disposti a dare. Ed in economia, se non c’è pareggio, la situazione non regge.

Simonetta Marenzi impresamoderna.wordpress.com

 

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