di Simonetta Lorigliola
Nadia Curto, vignaiola sensibile in cammino tra storia e futuro
La Morra. Sei nel cuore della Langa. Al singolare, così come la chiama chi la vive e l’ha vissuta.

Terra di storie aspre. Terra di contadini poveri, raccontati magistralmente da Nuto Revelli. Terra partigiana, quella antiretorica dei bei romanzi dell’albese Beppe Fenoglio. Dopo la guerra, l’emigrazione verso il sogno industriale, che passava da Ferrero ad Alba e arrivava alla Fiat di Torino. Il contadino diventa operaio. Altre e diverse forme di sfruttamento. Ma la storia non finisce così.
Oggi la Langa è Patrimonio dell’umanità e il suo vino più importante, il Barolo, è uno dei simboli del made in Italy illustre, in tutto il mondo.

In 60 anni tutto si è trasformato radicalmente. Oggi quelle terre e quei borghi sono recuperati alla vita. Il vino ha cancellato ogni povertà? Di certo ha mutato il paesaggio. Forse persino troppo. L’agricoltura, si sa, è svolta spesso con scarso rispetto della vitalità della terra. Lo è anche qui, al top vitivinicolo. Ma non mancano i Bastian contrari, per fortuna. Quelli che pensano e praticano una viticoltura sensibile, oltre i vigneti giardino (ma senza un filo d’erba), le valutazioni degli ammaestrati maître a boire, i meri profitti individuali.

Ne è significativo esempio Nadia Curto, vignaiola new generation (post Barolo boys, per capirci), figlia di contadini (Adele e Marco, mai andati via dalla Langa) che rinnova conoscenze tradizionali e assoluto rispetto per la natura langarola.
Lo fa con lo sguardo rivolto in avanti e una simultanea attenzione al rigore e all’eccellenza, in stile tutto contemporaneo e sensibile.
Camminando le vigne, saliamo il bricco e incontriamo il padre, Marco, 80 anni ad aprile, portati magnificamente, intento a potare.


Questo cru, l’Arborina, è una nicchia di viti amate e conosciute una ad una, rispettate e mai forzate. Il versante esposto a Sud dà il vino di punta dell’azienda, il Barolo Arborina.

Dice la Curto, “e in dialetto l’arbeüt è lil germoglio”. L’avanscoperta. Un’avanguardia che passa nei vini di Nadia, ribelli a ogni protocollo comandato:
“Governiamo le vigne e vinifichiamo o con tutta cura e rispetto, ma non so cosa deciderà di fare quel vino in quell’annata. Però devo accompagnarlo, sostenerlo, favorirne la rigorosa espressione”.

Mirabolante la piccola verticale di Barolo Arborina.
Ogni singolo assaggio racconta compiutamente l’annata, le pieghe del clima, dei lavori in vigna.
2011 annata regolare, senza grandi sbalzi: Barolo rotondo e rilassato.
2010 annata fresca, avara di calore; Barolo austero, fresco e balsamico
2009 annata di grandi picchi climatici: vino con grande personalità, piantato per terra, saldo su se stesso;
2008 annata calda: vino concentrato, possente, istrionico.
Sono questi i rari e impagabili momenti in cui pare verità assoluta la frase/sinestesia di Luigi Veronelli che suggerisce:
“Devi ascoltare il racconto del vino in quel bicchiere”.
E il Barolo di Nadia Curto sembra nato per essere piacevolmente assaggiato e, soprattutto, accoratamente ascoltato.
